Luciano Rispoli psicoterapeuta: Pulsione di morte e morte delle pulsioni.

in F. Formicola, G. d’Alfonso, Ed. Sintesi – Napoli, Maggio 1990.

Luciano Rispoli, psicologo e psicoterapeuta, nel seguente articolo affronta il tema della pulsione, partendo dall’assiomatica teoria freudiana, fino ad arrivare ad oggi in cui il modello scientifico della complessità apre le strade ad una ricerca in grado di superare le vecchie concezioni dicotomiche a  favore di una pluralità articolata di livelli e di punti di osservazione.


Il concetto di pulsione è certamente uno degli elementi centrali della metapsicologia freudiana. Per quanto dibattuto da vari punti di vista, rappresenta pur sempre uno dei più importanti tentativi di stabilire un ponte tra il mondo psichico e quello biologico, di concepire un modello di funzionamento dell’organismo che fosse essenzialmente unitario. Freud fu in tutto uomo del suo tempo, e le modalità con cui tentò di realizzare questo importante progetto non potevano che essere condizionate dai mezzi e dalle conoscenze di quegli anni, per di più incorniciati da una concezione allora imperante della scienza, fondamentalmente di tipo causalistico, se non addirittura meccanicistico. Le formulazioni di Freud su istinti e pulsioni, sulle loro mete e le loro fonti, sulla relazione tra psichico e biologico rimasero dunque per certi aspetti solo una splendida intuizione, che non potè svilupparsi in un’ articolazione, in un sistema teorico complessivo e soddisfacente. Il salto dal corpo alla mente rimase tale, incapace di collegare gli elementi quantitativi e qualitativi. La base biologica, rappresentata dal mondo delle pulsioni, ha finito così per condizionare attraverso postulati “assiomatici” lo studio della dinamica intrapsichica, senza possibilità di ritrovare tutti gli anelli della catena che conduce dallo psichico al somatico, dal biologico al mentale, dal mondo del macro (comportamenti, movimenti) al micro (processi fisiologici, ormonali, immunitari), dal visibile all’invisibile. Oggi il modello scientifico della complessità apre le strade ad una ricerca in grado di superare le vecchie concezioni dicotomiche a  favore di una pluralità articolata di livelli e di punti di osservazione. La struttura “circolare” del metodo scientifico ci metterà in grado di verificare la essenziale continuità dei fenomeni, nel senso di una concorrenza sinergica di elementi che finora venivano studiati in sistemi divisi e separati, e tra i quali, invece, il ricercatore deve potersi spostare, consapevole di cambiare di volta in volta il suo angolo visuale, ma senza abbandonare un punto di vista centrale costituito dall’impianto teorico di base dal quale comunque parte. In altri termini la trasversalità e l’intersezione delle varie discipline scientifiche sarà possibile solo adottando un ben determinato modello di riferimento, o , come si afferma da più parti negli ultimi tempi, a partire da una delle grandi Aree teoriche della clinica, cioè da una delle grandi tradizioni di pensiero che hanno studiato in modo completo e sistematico la fase evolutiva dell’infanzia, lo strutturarsi della personalità, l’insorgere dei disturbi e le tecniche di cura. E’ da impianti teorici ben definiti e specificati che risulta poi possibile spostarsi da un settore applicativo all’altro (ad esempio dall’individuo, alla famiglia, al gruppo), oppure dai disturbi psichici a quelli somatici, o spaziare su più livelli del Sè (guardando insieme al funzionamento degli apparati e sistemi interni all’organismo, all’emotività, alle posture, al funzionamento del tono muscolare, al sistema neurovegetativo, alla razionalità dell’individuo), o infine spaziare tra più discipline (cogliendo aspetti antropologici, sociali, istituzionali). Sono sempre stato affascinato dalle zone di frontiera fra una disciplina e l’altra e credo che nelle interfacce tra di esse ci sia un terreno più fertile per il progredire della ricerca. Basti pensare agli spazi che vengono aperti da concetti quali il “fattore di regolazione” biologico, da scoperte come quella di Rita Levi Montalcini, da nuove potenzialità come quella della psicoimmunologia; a patto però di non “biologizzare” o “psicologizzare” la vita. Per non restare nell’ambito ristretto di un unico punto di vista, è lo necessario riuscire a costruire tutta la serie di piani contigui che costituiscono quel continuum che è l’uomo. Solo così è possibile osservarlo e studiano senza frammentario, ma senza rinunciare a scendere nei particolari, evitando quindi che l’errore opposto di guardarlo come un tutt’ uno vago e generico, del quale allora e difficile cogliere (per intervenire) la complessità dei processi di funzionamento. Ora il concetto di pulsione appartiene indubbiamente ad una zona di frontiera e permette osservazioni di estremo interesse, e non solo all’interno delle scienze psicologiche. Basti pensare alle implicazioni non soltanto di tipo clinico, psicologico, biologico ma anche politico e sociale che ha avuto e ha il concetto di “pulsione di morte”. Le pulsioni rappresentano dunque uno di quei ponti che, come l’etologia ha sempre sostenuto (a volte cadendo in estremismi inaccettabili), si protendono anche verso il mondo dei comportamenti e delle interazioni sociali. Uno dei meriti di questo scritto: “La pulsione di morte e la morte delle pulsioni” è nel fatto che gli autori ci hanno fatto. “guardare” il momento e la dinamica nelle quali nasce il tanto controverso istinto di morte. I lettori possono così cogliere le componenti personali e umane del grande momento in cui versava Freud e che lo trascinarono verso una tale formulazione teorica. Ma possono seguire anche gli eventi “al contorno”: l’influenza del momento storico, l’ortodossia come difesa delle varie deviazioni, la “deviazione” dì Freud come contrapposizione nei confronti di chi tendeva a contraddirlo o ad allontanarsi da lui. Estremamente interessante nel libro è l’aver messo in evidenza, da parte degli autori, i punti nodali sui quali poi Freud poggiò la costruzione dell’istinto di morte. Fu nella maniera d’interpretare il masochismo da un lato e la coazione a ripetere dall’altro che Freud creò un sostegno al suo pensiero “depressivo” e “difensivo”. Ed è proprio nello smantellamento di questi due punti delicati e nodali, operato da Reich prima e dalla ricerca di altri autori poi, che si rivelò 1’ inconsistenza dell’istinto di morte.  Oggi, anzi, e tutta la costituzione teorica classica delle pulsioni ad essere messa in forse. Anche all’interno dell’area psicoanalitica contrapposizioni tra modello pulsionale e modello oggettuale si sono fatte via via sempre più forti. Da parte mia ritengo che un rigetto completo della concezione pulsionale sarebbe anche esso un errore, perchè correrebbe il rischio di allontanare ancora una volta da quella possibilità di intersecare (come avevamo prima prospettato)  i vari piani del funzionamento umano, i vari livelli dei processi psicofisici. Il punto di vista “funzionale”, sviluppato da chi scrive in un sistema teorico nuovo che ha preso il nome di psicoterapia funziona! e, ci permette oggi invece di provare a rilanciare i ponti che legano il biologico, il mentale e il sociale, con una strumentazione più adeguata ed efficace. E’ così che, abbandonando concezioni “assolutistiche” dell’inconscio e degli istinti, ci è possibile guardare entrambi in modo relativistico, intrecciando fattori genetici e influenze ambientali, elementi individuali e sociali, piani biologici e risvolti rappresentativi, connotazioni qualitative e quantitative insieme. In particolare, rifiutando una visione puramente meccanicistica e quantitativa delle pulsioni, che le vuole ribollenti nel magma dell’Es, è possibile considerarle come linee di tendenza lungo le quali si muovono i bisogni di base degli esseri umani. E’ possibile oggi concepire l’aspetto qualitativo del mondo istintuale inteso come modalità biologiche, sia ricettive che espressive, del bambino. Le pulsioni sono i binari attraverso cui egli si relaziona col mondo, le potenzialità specie-specifiche che debbono essere messe in atto, pena l’atrofia o la disfunzione di parte dei processi psicofisici. Del cammino verso una tale nuova e promettente concezione funzionalistica del Sè, la chiarezza che d’Alfonso e Formicola portano finalmente sulle vicende della pulsione di morte, con la ricchezza del materiale filologico utilizzato e l’accuratezza delle osservazioni, dei passaggi, delle citazioni, ne rappresenta una tappa solida quanto indispensabile.

E’ la repressione che rende possibile la manipolazione degli individui adulti ai fini di una società di massa docile e obbediente all’ordine costituito, priva di qualunque capacità di autodeterminazione e sempre sull’ orlo del tracollo nervoso. Il risultato di tutto ciò è che l’infelicità e l’infantilismo di’en:ano regole di vita e la “peste psichica”, nelle sue espressioni più alte, produce . guerre, massacri e campi di sterminio.
Mentre a Reich questa presa di posizione è costata la messa al bando dal mondo psicoanalitico internazionale, cosa dire del Grande maestro che ormai per opinione unanime di illustri suoi discepoli “deviò” è sostenne la deviazione (pur fra mille dubbi) nata da problemi personalissimi e contemporanei alla prima guerra mondiale, sostenendola fino alla sua morte ? Questo saggio cerca di affrontare il problema in termini di confronto sui contenuti delle diverse posizioni. Ci auguriamo di esserci riusciti.