in “Wilhelm Reich: storia di una rimozione – Quaderni della Scuola Europea di Vegetoterapia e Psicoterapia Corporea” Napoli, 1987.
Luciano Rispoli affronta il modificarsi dei vari modelli in Psicologia clinica, partendo dalle formulazioni psicoanalitiche fino ad arrivare alla teoria del Sé Corporeo.
1) Continuità nella discontinuità
Studiare come si modificano i paradigmi delle teorie scientifiche, come si ampliano i confini dei modelli teorici significa entrare nello sviluppo stesso della scienza, capirne direzione e senso, i tentativi falliti, le strade inesplorate, le ricerche che è necessario intraprendere. In un certo senso tutto ciò può essere considerato come un serio tentativo di guardare all’insieme della struttura di una disciplina, o meglio all’insieme più ampio degli approcci scientifici che studiano il medesimo oggetto, e quindi come unica garanzia reale contro la rimozione che i condizionamenti personali, storici, sociali possono aver innescato. Nella storia della Psicologia Clinica gli sviluppi e le modificazioni man mano intervenute assumono un carattere ancor più particolare, data la molteplicità di ipotesi e di approcci da un lato, e la peculiarità del soggetto-oggetto di studio: la relazione e le dinamiche psicoaffettive. Ma, nonostante tutto, è possibile intravedere un movimento complessivo che si è andato spostando da un iniziale soggettivismo introspettivo o da un oggettivismo tipicamente medico (a cui sono legati dispositivi di cura “ingenui” basati sull’influenzamento personale o sul rafforzarsi di elementi di volontà) ‘man mano verso il riconoscere l’esistenza di stadi profondi e inconsapevoli dello psichismo. Successivamente si è sempre più delineato il carattere intersoggettivo della struttura della personalità, in un intreccio profondo tra struttura pulsionale interna e caratteristiche storicamente determinate del rapporto, tra mondo interno invisibile e segni visibili e condivisibili, tra vissuti fantasmatici e modalità di espressione ed estrinsecazione. In questo cammino è l’intero organismo ad essere chiamato in causa, con i suoi molteplici piani, incluse le funzioni più strettamente connesse al corporeo, attraverso uno studio pluridimensionale di un oggetto-soggetto che resta pur sempre la relazione e lo psichismo umano. All’interno di questa storia si colloca in posizione centrale la Psicoanalisi con i suoi sviluppi e i suoi cambiamenti. E’ un processo che definirei comunque di continuità nell’evoluzione, o meglio ancora di continuità nella discontinuità.
Racket scriveva nel ’68: “E’ possibile supporre che il progresso futuro delle conoscenze psicologiche in generale e in particolare degli avvenimenti interni dei pazienti nella situazione analitica, ci darà la possibilità di intensificare e persino accelerare sempre più il processo di trasformazione psicologica. Ciò dipende dalla nostra crescente capacità di capire e scoprire i processi inconsci che giacciono al di sotto di ogni frase del paziente, di ogni suo movimento mentale, ogni silenzio, ogni cambio del ritmo del linguaggio e della voce, di ogni suo atteggiamento”.
2) Devianze ed ortodossie di Reich
Quali sono state allora le “dilatazioni” che il tessuto psicoanalitico ha subito, soprattutto attraverso l’immissione in esso del pensiero di Reich? Quali sono le sue “devianze”, cioè le rotture e gli strappi inferti nella tradizione e nell’ortodossia freudiana? Possiamo ancora definire psicoanalisi il complesso delle elaborazioni di Reich?
Proviamo ad analizzare questi due aspetti fondamentali. Dove Reich è psicoanalitico ed ortodosso?
– Nel dare rilevanza centrale alla relazione;
– Nel concetto di transfert e di campo transferale;
– Nel conservare, anche se in una dimensione unificata, l’aspetto pulsionale;
– Nel sottolineare l’importanza delle “fasi evolutive” dell’infanzia rilevando gli effetti patogeni del non accoglimento, della repressione delle istanze affettive;
– Nella rimozione e nelle funzioni di un inconscio, che vengono addirittura poggiati su quelle basi biologiche che Freud aveva sempre auspicato.
Le devianze e gli strappi di Reich.
– Una pulsione a carattere unitario connessa fondamentalmente all’espansione biologica;
– Istinto di morte negato e considerato reazione secondaria del bambino a impatti negativi con l’ambiente;
– Struttura caratteriale come espressione cristallizzata e difensiva. Accenti posti sul modo, la maniera, le caratteristiche e non solo sui “contenuti”;
– L’inconscio non come “buco nero” preesistente, ma come luogo o funzione del rimosso, della emozionalità e del pensiero che non si può né esprimere né percepire;
– Il corpo considerato non come una tappa di un cammino verso la “mente”, ma come dimensione strettamente ad esso interconnessa. Identità funzionale tra i due aspetti che si separano solo sotto la pressione negativa dell’ambiente (il famoso simbolo a due frecce).
Riguardo il corpo, in particolare, la sensazione è che esso si trovi comunque lungo i binari che furono tracciati, come percorso scientifico, dai fermenti culturali del primo movimento psicoanalitico. E, dopo ripetute frenature, in tutto il settore della psicologia clinica e nella Psicoanalisi in particolare, ci si sta ripetutamente affacciando oggi su questo nuovo piano dimensionale. II punto è che inglobando ulteriori aspetti, della relazione quali il corporeo, viene a modificarsi inevitabilmente il frame, la cornice teorica, che organizza conoscenze e ipotesi di base. Di poco o di tanto? Forse una Psicoanalisi che si interessasse al corpo non percorrerebbe l’esatta identica strada che abbiamo percorso noi, ma i principali nodi metodologici ed epistemologici che si porrebbero sarebbero certamente gli stessi. Inoltre sarebbero da accogliere (come abbiamo dovuto fare noi) inputs, dati, risultati che provengono da altre discipline scientifiche che sono al confine con la psicologia e verso le quali un modello del Sé corporeo lancia inevitabilmente ponti di collegamento (fisiologia, biologia, etologia, ecc.). Rispetto ad una Psicoanalisi tradizionale dunque cambiano sia i dispositivi di cura (quello che Fa o non Fa il terapeuta anche col proprio corpo e col corpo del paziente) e i costrutti teorici di base sulla Formazione della personalità. La scottante questione dell’occultamento, da parte della Società Psicoanalitica del tempo, di dati e prove relativi ad aggressioni sessuali reali che i pazienti da bambini ebbero a subire, e che quindi non potevano considerarsi solo elaborazioni della fantasia, è a riprova di un punto importante di questo ragionamento. Le rivelazioni fatte da Masson nel suo libro ricavate dagli Archivi Segreti della Società, hanno sollevato un enorme scalpore, ma sono state liquidate troppo bruscamente dalla Psicoanalisi stessa. Perché? Non vogliono certo avvalorare l’ipotesi che le fantasie non abbiano comunque un ruolo fondamentale nel tessuto psicoaffettivo e nella dinamica profonda dei pazienti. Ma dimostrano che esiste una realtà innegabile nella vita del bambino di scontri con l’ambiente, di frustrazioni, di aggressioni e violenze che sono strettamente collegate a quelle fantasie, e che si iscrivono dunque profondamente nel corpo come nella mente. Il prorompere delle fantasie “distorte” e delle angosce profonde non deriva allora da un crescere genetico e inevitabile delle pulsioni libidiche interne, ma dalle alterazioni psichiche e somatiche prodotte da violenze reali (dove nella violenza o compresa anche l’indifferenza, l’ansia eccessiva del genitore, il non accogliere a sufficienza e così via), alterazioni che man mano si interiorizzano nell’individuo. Ne è una ulteriore riprova il fatto che le fantasie portate dai pazienti sono storicamente determinate, cambiano nettamente con i tempi. Quelle puramente incestuose, ad esempio, oggi sono molto più rare. D’altra parte l’attenzione che si poteva rivolgere all’infanzia era allora estremamente più bassa di oggi, per cui non potevano che sfuggire numerosi lievi segnali che rivelano, anche in bambini piccoli, condizioni di malessere, di disagio, di patologia che si va approfondendo.
3) Le modalità delle “devianze” di Reich.
E’ interessante utilizzare un metodo “caratteriale” anche in un analisi dei cambiamenti e delle trasformazioni che può subire gradatamente un modello teorico. Ciò vuol dire guardare come sono avvenuti i cambiamenti e per quali strade. Proviamo a isolarne qualcuna delle più importanti presentandole sinteticamente per punti.
– L’insuccesso dei trattamenti e le ricadute. Reich si accorse che non era sufficiente come fattore terapeutico il solo riemergere di ricordi (noi ci chiederemmo oggi: ma quali e di che periodo); l’emozione rimaneva incapsulata, l’abreazione non portava ai risultati sperati. Se bisognava pensare ad un elemento nell’attuale che trattenesse emozioni, conflitti e ricordi chiusi all’interno della persona e che fosse intimamente intricato con la storia emotiva e fantasmatica sedimentata, questo non poteva essere che il corporeo. (Oggi importante perno nella verifica dei risultati in Psicoterapia corporeo-caratteriale).
– L’affacciarsi al mondo del biologico. Era un interesse che Reich sentiva particolarmente sin da bambino. (Oggi può essere visto con meno sospetto e preoccupazione dalla Psicologia, poiché questa ha acquisito una sua solida identità, e non deve più temere di poter essere schiacciata da modelli medico-biologici).
– La sessualità e la nevrosi attuale da stasi. Reich scoprì una costante di insoddisfazione e di disfunzioni nella vita sessuale dei pazienti, soprattutto quelli che presentavano ricadute. Il grosso lavoro di Reich nei consultori in Germania gli permise uno studio clinico su larga scala, con molti dati “dal vivo”.
– L’impostazione storicistica del principio di realtà. Lo studio delle forme concrete della repressione sull’uomo lo spingeva ad una visione non innatista delle reazioni secondarie del bambino. Egli potè arrivare a includere la caratterialità come parte integrante delle forze reali storiche che agiscono a livello della struttura, specie a livello di massa (impostazione in realtà, molto vicina alla rivoluzionarietà della prima Psicoanalisi)
– L’analisi del masochismo. La rigidità e la sofferenza del masochista che ha necessità che venga rotta la “membrana” che lo immobilizza fu un perno determinante nella critica alla pulsione di morte. (Oggi si parlerebbe di Psicologia della salute). Da qui derivava anche l’attenzione alle formazioni reattive aggressive e oppositive, e naturalmente la centralità del transfert negativo nel trattamento dei pazienti.
– Il corporeo e il biologico. Le sue ricerche si dipanarono gradatamente lungo questa strada a partire dai cambiamenti di potenziale elettrico della pelle, verso le profonde interconnessioni con l’equilibrio che il sistema neurovegetativo ha con le emozioni e con le fantasie, con la funzionalità degli organi interni, ma anche con le alterazioni della muscolatura volontaria.
4) Le “devianze” e le innovazioni del modello attuale di Psicoterapia corporeo-caratteriale.
E’ interessante a questo punto seguire ancor più in avanti i processi di trasformazione del modello iniziale. Guardiamo alle ricerche che come Centro Studi Reich e come Società Italiana di Vegetoterapia e Psicoterapia corporea abbiamo condotto in questi 20 anni fino a giungere al modello attuale del Sé corporeo. La domanda se tutto questo sia ancora o no Psicoanalisi è superata e sostituita, dall’altra: “quali confini sono stati sinora esplorati, quali potenzialità del modello iniziale sviluppate, e quali strade sono ancora da percorrere”?
Anche nel descrivere queste ulteriori innovazioni al modello di Reich procederemo sinteticamente per punti, rimandando ad altre pubblicazioni una trattazione più completa e sistematica.
– La struttura caratteriale come organizzazione e costellazione di tutti i sistemi difensivi. Il carattere non è più visto come singola resistenza specifica, ma come insieme complesso, come sistema direttamente connesso all’intera struttura del Sé corporeo.
– Un modello pulsionale-relazionale. La pulsione viene conservata come spinta verso direzioni fondamentali di espansione dell’individuo, come coloritura emotiva e non neutra degli oggetti e dell’ambiente. Ma non ha meccanismi di carica e scarica, non è quantitativa, poiché l’inizio o la cessazione dei comportamenti è determinata dalla relazione o comunque dagli esiti che le relazioni hanno stratificato nel Sé corporeo.
– La memoria corporea. Le fissità delle posture, le alterazioni del tono muscolare, la morfologia delle varie parti del corpo sono altrettante memorizzazioni delle vicende affettive e relazionali, e rappresentano un linguaggio corporeo ben più articolato e complesso di quello dei gesti, l’unico solitamente studiato.
– Struttura complessa del Sé corporeo. E’ un modello di personalità che prevede una interconnessione di funzioni e processi ai vari livelli, presenti sin dall’inizio nel bambino e che vanno successivamente complessificandosi. Aumentano le sfumature emotive, le articolazioni del pensiero, gli oggetti pulsionali, ma non si aggiungono, nel corso dello sviluppo, nuove strutture, nuove direzioni della pulsione, nuovi psichismi.
– Condizione secondaria delle emozioni. E’ una ricerca sulle alterazioni del tessuto emotivo e del come le emozioni si presentino in nuove condizioni che non si limitano alla sola rimozione.
– Stratificazione emozionale in tutti i distretti del Sé corporeo. E’ una concezione che va oltre quella dei 7 anelli che Reich descrive nel corpo, individuando una storia in cui varie parti della persona sono allo stesso tempo impegnate in movimenti fisici ed emozionali, nell’esprimere o nel trattenere, a seconda della fase evolutiva e dell’accoglimento del1’ambiente.
– Ampiezze dimensionali. Rappresentano la gamma di “movimenti” e di risposte che l’individuo può variare nel campo della percezione, dei movimenti somatici, delle emozioni e delle ideazioni.
– Mobilità. Consegue direttamente dalle ampiezze dimensionali ed esprime un concetto di energia non di tipo meccanicistico ed idraulico, ma funzionale.
– Analisi delle funzioni del Sé corporeo. E’ un superamento delle tipologie caratteriali diagnosticamente rigide e non concrete. Le sconnessioni che insorgono tra differenti aree del Sé e all’interno di ciascun area sono alla base di differenti patologie, e rappresentano una strada caratteriale ed emozionale propria per ciascuna persona.
– Regressione psicosomatica. Ne discendono tecniche e metodologie terapeutiche più complesse e differenziate che permettono di accedere ai nuclei più profondi del Sé corporeo (dove ancora sono operanti le connessioni originarie attraverso quelle parti dove è meno ispessito e stratificato il falso Sé.
Lo stesso procedere corporeo in terapia segue percorsi che non sono né fissi (dall’alto in basso, dall’esterno all’interno, ecc.) né casuali, perché da queste aree ci si muove per un lavoro lento e paziente di ricucitura e di riconnessione dei vari piani funzionali. Le tecniche terapeutiche utilizzano inoltre il costrutto di campo transferale ampliato, e di modularità della distanza, del ruolo del terapeuta rispetto al paziente, delle “posizioni” e dei movimenti all’interno del setting.
– Sintomatologia funzionale originaria. Rappresenta il primo disagio reattivo del bambino alle pressioni negative dell’ambiente, con un’espressione del malessere già tipica di quell’individuo. E’ parte di una teoria dei tratti e dei sintomi che si discosta dalle prime formulazioni di Reich poiché vede entrambi questi fenomeni, nonostante differenti, come strettamente connessi, e come manifestazione di alterazioni del Sé corporeo in atto.
– Processi di sviluppo e processi formativi. Una sistematizzazione della materia nasce dall’osservazione e dall’attività diretta con i bambini. Blocchi di apprendimento, mobilizzazione percettiva, relazione oggettuale originaria, ecc. sono concetti connessi alla teoria generale del Sé corporeo applicata in ambito evolutivo, e parallelamente in ambito formativo.
5) L’ampliarsi dei confini come transizione verso nuovi concetti scientifici.
Come si vede sono numerosi i cambiamenti rispetto alle prime teorie di Reich. Si può parlare ancora dello stesso modello? No, ma forse Reich non si scandalizzerebbe più di tanto e apprezzerebbe le direttive sulle quali è continuata la ricerca, se avesse anche lui accesso alle conoscenze, ai dati e alle elaborazioni che oggi abbiamo a disposizione, sia all’interno dell’approccio specifico, sia generalmente nell’ambito della Psicologia clinica, sia ancora nelle Scienze che studiano l’uomo. Si tratta dunque di un nuovo modello? Nemmeno. Piuttosto potremmo parlare di dilatazione dei confini, di una ridefinizione delle fondamenta scientifiche. Si tratta di un’esplorazione dei confini e delle potenzialità che le teorie di Reich hanno schiuso, sino alle interfacce con altre discipline, oggi vividamente al centro della cultura e della ricerca scientifica. Si tratta di illuminare e chiarire processi ed eventi quali la nascita, 1’ammalarsi, il trasformarsi, 1’apprendere, la gestualità e i movimenti, le patologie gravi, i comportamenti innati e appresi. Solo dilatando queste aree della conoscenza si rendono possibili quei passaggi osmotici di competenze tra modelli e tra aree di ricerca, per una Psicologia rifondata ed unitaria, che non nega la complessità ma esplora molteplici articolazioni, attraversando orizzontalmente modelli e teorie, illuminando zone d’ombra, rivalutando connessioni; ma sapendo anche abbandonare, quando è il caso, formulazioni superate, sacche di incongruenza, vecchie e sclerotizzate concezioni che ridurrebbero la ricerca a sterile ripetizione iterativa.