in “La Società Trasparente” – XIX Congresso degli Psicologi Italiani – Ed. SIPs, Bologna, 1981.
Barbara Andriello e Luciano Rispoli riportano due casi di osservazione della relazione madre-bambino durante il primo anno di vita. analizzando le caratteristiche della comunicazione che si interpone tra madre ed osservatore clinico.
In due esperienze di un anno, condotte con il metodo di E. Bick, si analizza l’osservazione delle prime fasi del rapporto madre-bambino come possibilità di conoscenza del processo evolutivo, strumento di formazione per lo psicologo e funzione di sostegno del rapporto stesso. Il legame che esiste nella coppia madre-figlio viene replicato nel rapporto con l’osservatore, in un “avvicinamento-distanziamento reso intenso dalla comunicazione non verbale si collega ad analoghe vicende di simbiosi-differenziazione del mondo interno del bambino. Lo spazio psicologico tra osservatore e madre è riempito dall’esistenza del bambino, punto della comunicazione, ma anche elemento di separazione che permette alla madre, modulando la distanza nella relazione, di accettare parti di sé non riconosciute o trasferite sul figlio. La conclusiva “SEPARAZIONE” struttura spazi nuovi di comunicazione e catalizza contenuti mentali della madre prima frammentari, in una restituzione simbolica?
E’ sufficientemente acquisita l’importanza dell’osservazione a carattere psicoanalitico, non solo come strumento di indagine ricostruttiva di processi precoci,ma anche come possibilità di integrare, con un’esperienza diretta, carica di significati e di relazioni emotive,il delicato processo di formazione dello psicologo. L’osservatore, infatti, entrando in diretto contatto con i suoi stati interni, suscitati dall’ impatto emozionale provocato dalla situazione di osservazione,ha la possibilità di ampliare la propria comprensione di quei meccanismi e quelle difese, legati ad ogni situazione di relazione,prima fra tutte quella psicologo-utente. A tal proposito, già Winniccott, andava sottolineando la stretta dipendenza delle vicende evolutive del bambino dalle modalità secondo cui si stabilisce il rapporto tra la madre ed il pediatra,per una più profonda ed articolata comprensione del processo di crescita e di differenziazione dell’infante. Pur essendo da noi sentita la necessità di approfondire maggiormente, in termini sia teorici che pratici, questi aspetti dell’osservazione però qui focalizzare la nostra attenzione su un ulteriore elemento emerso nelle esperienze di osservazione del rapporto madre—bambino, da noi condotte durante due anni di tirocinio nella Scuola di specializzazione in Psicologia dell’Università di Napoli. Ci interessa, cioè, sottolineare come in un rapporto di osservazione siffatto vengano messi in moto non soltanto processi ricostruttivi del vissuto infantile della madre,ma arche meccanismi costruttivi che agiscono nella dimensione del comportamento attuale e nella direzione di significativi cambiamenti. Specie nelle fasi conclusive, cioè, si strutturano spazi nuovi di comunicazione fra osservatore e madre, che rendono possibili sia il modificarsi di taluni atteggiamenti, sia il rientrare in contatto ed il riconoscere vissuti emotivi precedentemente negati. Non a caso E. Bick già sottolineava che l’oggetto dell’osservazione è in realtà proprio lo spazio di relazione tra osservatore ed osservato,i sentimenti che ne vengono sollecitati, le ansie e le paure di essere invasi dall’eccessiva vicinanza dell’altro,i conflitti sollevati nell’interno dell’osservatore dai meccanismi di identificazione con la realtà circostante.
Per comprendere meglio quanto accade è necessario innanzitutto analizzare le caratteristiche della comunicazione,che si stabilisce tra madre ed osservatore in questo tipo di osservazione diretta, a carattere psicoanalitico: ebbene, la prevalenza di tale comunicazione è di tipo prettamente non verbale, poichè rientra nella configurazione di un setting volto a non creare eccessive interferenze nel comportamento spontaneo della coppia madre—figlio. Questo fa sì che le emozioni vengano espresse in maniera più diretta, senza le possibilità di difesa del linguaggio verbale,che riesce,attraverso giri di parole ed uso di perifrasi, ad ammorbidire,mistificare,affermare e negare nello stesso tempo. Il linguaggio del corpo si evidenzia, infatti, attraverso la postura, gli sguardi, l’atteggiarsi dell’intera struttura muscolare, spesso così contraddittori rispetto alle affermazioni di tipo verbale; in esso, perciò,sono presenti non soltanto espressioni legate alla sfera del razionale, del cosciente ma, frammisti a queste, nuclei emotivi inconsci,a volte molto profondi. Se la presenza di questo linguaggio, così coinvolgente,genera inizialmente livelli maggiori di ansia,di paura di essere giudicati,di essere scoperti, quasi come in balia dell’altro, ha però la natta connotazione positiva di non ingenerare eccessive ambiguità nel rapporto, proprio perchè tende ad escludere le conseguenze psicopatogene del “doppio-messaggio”. Questo è, secondo noi, uno dei fattori più importanti, tra quelli che possono essere collegati all’emergere di un fenomeno di cambiamento, di un effetto, cioè, che potremmo chiamare “terapeutico” nel processo di osservazione. Un altro fattore è, in secondo luogo, quello che noi abbiamo definito la “modularità di relazione”. Nel rapporto tra l’osservatore e la madre lo spazio psicologico esistente tra i due non è vuoto o pericolosamente distanza, ma è continuamente riempito dall’esistenza del bambino,dal riferire l’andamento della sua crescita, il suo stato di salute, i progressi man nano raggiunti. Il bambino è sì punto di incontro della comunicazione ma soprattutto funge da elemento che permette alla madre di prendere le distanze, di ritirarsi quando s sente eccessivamente minacciata da una fantasia di intrusione da parte dell’estraneo,in ultima analisi di rassicurarsi sull’insorgere di ansie che raggiungono livelli insostenibili. In realtà la presenza dell’osservatore non viene vissuta così carica di elementi persecutori quali potrebbe suscitare l’irruzione, nella quotidianità dell’esistenza della madre, di una persona realmente estranea. Infatti la particolarità della relazione di osservazione consiste proprio nell’essere limitata nello spazio e nel tempo, senza possibilità che venga investita di ulteriori aspettative o che sia prolungata al di là della seduta stessa. Ciò favorisce l’instaurarsi tra la madre e chi osserva di un’area di esperienza particolare, cui contribuiscono sia la realtà interna che la vita esterna; quella, cioè, che Winicott definisce “area transizionale”. “Si tratta di un’area”, dice Winnicott, che esiste come rifugio per l’individuo perpetuamente impegnato nel suo compito umano di tenere le due realtà, interna ed esterna,separate e pur tuttavia in relazione l’una con l’altra.” L’osservatore si configura da una parte come terza ‘persona reale, rispetto alla coppia madre-bambino,ma dall’altra anche e soprattutto come parte integrante del mondo interno della madre1 ed è contemporaneamente oggettivamente percepito e soggettivamente creato. E’ per questo che assume la funzione di serbatoio e di rispecchiamento di fantasie inconsce della madre che, altrimenti, in un diverso tipo di comunicazione, andrebbero perdute. La madre può gradualmente utilizzare la sua presenza per affrontare conflitti più profondi,senza dover più mettere in atto meccanismi di difesa,quali la negazione o la scissione che, comunque, impediscono il recupero di parti essenziali del sè. L’aspetto interessante è che il processo di differenziazione che si crea e si svolge durante il primo anno di vita all’interno della coppia madre-bambino, viene quasi parallelamente replicato tra la madre e l’osservatore. Il processo è lento e graduale: inizialmente la madre entra cd esce dallo spazio di relazione,proiettando sull’osservatore sentimenti conflittuali in forma di oggetti parziali; successivamente, favorita dalla comunicazione non verbale,mette in atto più liberamente questi sentimenti,riferendoli all’esistenza dei bambino,senza però ancora riconoscerli. Finalmente, accettando l’osservatore ed il bambino come persone altro da sè, riesce a distinguere tra ciò che è suo e ciò che è del bambino e quindi ad entrare in contatto con le proprie parti prima negate e scisse. L’elaborazione della fine dell’osservazione, cioè di una separazione dall’osservatore, ci è sembrato favorire, per l’intensità della situazione emotiva connessa, il cambiamento da parte della madre di alcune forme del rapporto. E’ come se la consapevolezza di una perdita imminente rivelasse una tensione verso la scoperta e la fiducia di poter sperimentare un seppur minimo cambiamento nel modo di porsi. In un caso da noi osservato, la madre manifestava un rapporto molto disturbato con il cibo, vissuto come pericoloso ed avvelenato. Questo problema, per una sorta di identificazione, veniva agito figlio, tanto da farle evitare drasticamente l’allattamento al seno. Ogni donna che si occupasse del bambino rievocava per lei la fantasia di una “madre pericolosa”,della propria “madre pericolosa”, dalla quale non riusciva a preservare il bambino, anche quando se ne occupava lei stessa. Soltanto attraverso il sostegno dell’osservazione questa donna potè riconoscere ed elaborare che solo al suo interno sopravvivevano arcaiche fantasie distruttive rimosse e non accettate, perchè connesse al rapporto irrisolto con la propria madre. Riappropriandosi di queste parti di sè finalmente oggettivate, riuscì non solo a modificare il proprio atteggiamento nei confronti dell’alimentazione e delle altre figure femminili che si occupavano del figlio;ma anche a tollerare, senza più eccessivi sentimenti di colpa,che il bambino cominciasse a staccarsi da lei, andasse esplorando la realtà circostante,esprimesse proprie scelte autonome, senza sentirsi più spinta a soffocarlo continuamente con le sue iniziative,la sua presenza, suo ambivalente attaccamento. Un altro caso che ci si è presentato era caratterizzato da una forte contrapposizione tra bambino immaginato e bambino reale. Una forte idealizzazione delle funzioni materne,del partorire,del nutrire,rendeva la madre incapace di superare la fantasia di onnipotenza, cioè di adeguare il proprio comportamento a questa immagine di perfezione assoluta. Cosicchè, anche i bisogni emergenti della bambina venivano vissuti come diversi da quelli immaginati1 e impos3ibili,quindi,da sostenere:e ciò in conseguenza di una forte identificazione,di una confusione dei propri aspetti infantili con quelli della figlia. Nel corso dell’osservazione veniva rivissuto un processo di progressiva disillusione ed emergeva il sentimento che delimitare l’altro e riconquistare una propria identità,anche rispetto all’osservatore,significava rompere l’illusione di una interdipendenza relazionale quasi magica. La madre riusciva finalmente a nutrire la figlia,senza più desiderare che qualcuno la allattasse al posto suo;ciò proprio nel momento in cui arrivava a riconoscere e ad esprimere esplicitamente il suo bisogno ed il suo desiderio di essere aiutata e sostenuta. Quest’aspetto “costruttivo” o “terapeutico” dell’osservazione,che abbiamo qui analizzato,ribadisce a parer nostro che, per approfondire gli eventi evolutivi del bambino nelle prime fasi di vita,il rapporto con la madre,il processo di separazione-differenziazione,è indispensabile che l’oggetto dell’osservazione sia proprio la relazione tra osservatore ed osservato. L’osservare, quindi,come possibilità di esplorare la realtà esterna,ma non solo quella immediatamente visibili ed apparente,implica per lo psicologo l’acquisizione di una capacità di comprendere prima il proprio mondo interno. E ciò non nel senso di una superata e statica introspezione wundtiana, ma sulla via di un approfondimento delle dinamiche inter ed intrasoggettive, per una migliore comprensione di tutti gli aspetti che intervengono in qualunque relazione “terapeutica”,cioè in ogni tipo di rapporto che intercorra tra lo psicologo e l’utenza.