in “Infanzia, Scuola e Disagio psichico”. Supplemento monografico n. 2 alla rivista “L’Ospedale Psichiatrico”, Napoli, 1979.
Luciano Rispoli presenta l’esperienza di 5 anni di lavoro come conduttore di gruppi e seminari di formazione per insegnanti, in scuole elementari, medie e superiori. Per un’efficace prevenzione del disagio e della patologia del disadattamento scolastico è necessario, da una parte, un programma di formazione continuativa per gli insegnanti, con caratteristiche che si avvicinino a quelle dei gruppi e dei seminari presentati in questo articolo; vale a dire centrate sul ruolo, sull’analisi della istituzione, sul vissuto emotivo-affettivo e sui problemi di comunicazione e di rapporto. Dall’altra è indispensabile che la scuola si apra al sociale e al territorio, collegandosi al lavoro di consultori e centri sociosanitari, e partecipando ad un dibattito culturale, che coinvolga anche gli allievi, sulla sua trasformazione, e sui problemi dell’infanzia e dei giovani.
INTRODUZIONE
Questo lavoro nasce dalle esperienze che ho condotto all’interno delle strutture scolastiche come docente di corsi di formazione e aggiornamento per insegnanti dal 1974 ad oggi. Farò riferimento in particolare, tra le altre, alle attività svolte nella scuola media Moscati, nel IV circolo didattico, presso l’ ITIS Righi nell’ Istituto Magistrale « Mazzini », presso il Centro di Medicina Sociale di Giugliano. Negli anni ‘70, dopo l’ondata di lotte e di speranze per la trasformazione delle strutture scolastiche, scosse dal movimento studentesco del ‘68, la crisi della scuola raggiungeva livelli culminanti. Gli organi di democrazia collegiale mostravano il reale risvolto della loro funzione: ingabbiare il processo spontaneo di gestione sociale e collettiva della scuola. Il mito dell’insegnante “libertario” si sfaldava, né era possibile ritornare indietro ad atteggia menti repressivi ed autoritari. Al contempo la scuola si svuotava sempre più di cultura reale, anche perchè superata di fatto dal bombardamento intensivo che al di fuori di essa operavano i mass-media; primo fra tutti il mezzo televisivo, con i suoi effetti così coinvolgenti. La condizione dell’insegnante diveniva via via più disagevole e frustrante. Da una parte per lo scontrarsi continuo con il rifiuto, l’ostilità e il disinteresse degli studenti. Dall’altra per il sopravvivere di una struttura arcaica, funzionante solo formalmente, nella quale si sovrapponevano resistenze al cambiamento dal basso e mancanza di volontà riformatrice dall’alto. Cresceva così da parte degli insegnanti più sensibili e coscienti la richieste di una formazione che desse loro strumenti per affrontare con competenza il problema. Ma la risposta delle strutture appositamente preposte consisteva solo nei tradizionali corsi di aggiornamento clic toccavano tuttalpiù i contenuti delle materie d’insegnamento. A queste pressanti esigenze degli insegnanti intendevano invece rispondere i gruppi di formazione e i seminari di aggiornamento messi a punito e condotti da me e dagli altri operatori (lei Centro Studi W. Reich, a partire dal 1975. Oggi riteniamo possibile abbozzare un primo consuntivo di 5 anni di esperienze svolte sia presso il Centro Studi W. Reich (workshops di 6 giorni – gruppi della durata di un anno), sia all’interno delle scuole.
Le matrici culturali su cui sono state impostate le attività di formazione appartengono a tre filoni differenti:
1) Le esperienze sino ad allora accumulate nei gruppi di vegeto- terapia ed espressività corporea tenuti sin dal 1 968 presso il Centro Studi W. Reich. L’affinamento delle tecniche terapeutiche basate sull’analisi del carattere e sull’approccio corporeo all’abreazione delle emozioni represse ha permesso di affrontare anche nel gruppo di formazione per insegnanti l’aspetto del vissuto affettivo e della struttura della personalità.
2) Gli studi sulla dinamica di gruppo, così come vennero sviluppati da Lewin e dai suoi collaboratori nel Rescarch Center for Group Dynamics, a Cambridge. Tali studi hanno permesso di comprendere come nascano e si differenzino i ruoli in seno ad un gruppo, e come questi ruoli influenzino l’andamento collettivo, sia affettivo che organizzativo. E’ importante rendere cosciente il gruppo dell’evoluzione (lei rapporti interpersonali e gruppali, nonchè della trasformazione col tempo dei ruoli iniziali.
3) L’ indirizzo dell’ Analisi Istituzionale, sviluppatasi in Francia a partire dal 1967 specialmante con Loureau e Lapassade. Nasceva da un’opposizione ai training- groups, adoperati per lo più a livello di azienda per appianare contrasti di poter, per scoprire eventuali germi di contestazione, per collocare operai e impiegati in settori che meglio potessero tenerli sotto controllo. L’Analisi Istituzionale mise sotto accusa i T-Groups per la mancanza esplicita di una problematica politica nel loro uso, e tentò di affrontare i problemi dei lavoratori o degli utenti collegandoli all’intera struttura istituzionale, e analizzando di quest’ultima meccanismi, funzioni, norme, regolamenti, rapporti di potere.
Obbiettivi e livelli operativi
Scegliemmo di utilizzare per i nostri gruppi la parola “formazione” per indicare a quali livelli intendevamo agire e per sottolineare l’ampiezza dei processi che intendevamo toccare. Non ci sembrava utile ripetere il solito intervento fatto di conferenze o di lezioni che calano dall’alto sull’ascoltatore, e che possono al massimo descrivere verbalmente processi che per essere compresi vanno vissuti in prima persona. La formazione invece realizza una comprensione profonda delle dinamiche d’interazione tra decenti e allievi, mettendo in moto trasformazioni del comportamento e di elementi caratteriali. In effetti si può parlare di formazione quando vi sia concordanza tra comportamento esteriore (norme apprese razionalmente) e motivazioni pro fonde del comportamento. E’ così possibile collegare il vissuto e i problemi personali sia ad una interrelazione tra membri del gruppo, sia ad un’obbiettiva collocazione che il ruolo sociale dell’insegnante comporta.
I punti su cui si intendeva intervenire nella formazione per gli insegnanti erano in ultima analisi due:
- a) Il ruolo del docente, sia sotto il profilo della struttura del carattere, che sotto l’aspetto istituzionale. E’ evidente come il ruolo sia influenzato dalle dinamiche profonde che la persona si porta dentro sin dall’infanzia. Molto spesso i comportamenti e gli atteggiamenti dell’insegnante non sono altro che l’effetto di conflitti inconsci; le motivazioni reali del comportamento rimangono sconosciute al soggetto, il quale a volte non si accorge nemmeno di agire in un certo modo.
Il ruolo è anche strettamente determinato dalla struttura e dall’organizzazione dell’ Istituzione stessa. Nelle nostre scuole l’insegnamento è di tipo “frontale” L’insegnante è contrapposto spazialmente e psicologicamente alla classe, ed è responsabile di tutto ciò che vi avviene: dalla spiegazione all’apprendimento, dalla disciplina alla valutazione, dalla verifica dei risultati all’educazione morale dei suoi allievi. Il ruolo è costituito da tutti questi dementi, ma anche dalla cattedra, dal registro, da noi-me e regolamenti, sia a livello della singola scuola che a quello più generale del ministero della Pubblica Istruzione. L’insegnamento per nozioni, l’obbligo dei programmi ministeriali, gli scritti e gli orali, i voti, sono solo degli esempi dei tasselli che vanno a formare ciò che definiamo genericamente come ruolo. Nei gruppi di formazione che abbiamo progettato il tentativo è di affrontare sia l’aspetto caratteriale che quello istituzionale del ruolo, portandone alla luce le caratteristiche, e cercando di reintegrarne la scissione a favore di una maturazione dell’ Io e della personalità.
- b) Il secondo elemento fondamentale messo a fuoco nel nostro lavoro è lo studio dell’area d’interazione tra docente (con tutto il suo mondo culturale) e allievo (con i suoi problemi e le impronte dell’ambiente da cui proviene). Gli indirizzi più recenti di psicopedagogia, come sostiene anche Pontecorvo, sono orientati proprio allo studio di quest’area di interazione, per analizzare concretamente cosa avviene né solo dal punto di vista dello insegnamento, né solo da quello dell’apprendimento; ma appunto da una prospettiva di sovrapposizione reale di questi due processi.
Da tempo le esperienze condotte da me e dagli altri operatori del Centro Studi W. Reich anche nel campo dell’intervento sull’infanzia, sono appunto centrate fondamentalmente sul rapporto, proprio perché ciò che avviene realmente è lo strutturarsi di una relazione tra due persone, e non astrattamente e separatamente di un processo di insegnamento e di uno di apprendimento Solo così acquista senso concreto l’affermazione secondo cui è fondamentale l’affettività nello sviluppo cognitivo: tutto è riferito ad un processo unitario di relazione (bambino-adulto, allievo-insegnante) con tutti i meccanismi di identificazione e di proiezione che un rapporto di tal genere implica.
La presa di coscienza nel lavoro di formazione
La proposta di lavorare in piccoli gruppi, struttura della nostra attività di formazione, risponde contemporaneamente a diverse esigenze. Innanzitutto è importante che gli insegnanti apprendano tecniche di lavoro di gruppo, per poterle applicare direttamente nelle loro classi realizzando gruppi di studio per gli allievi. Il fallimento di numerose esperienze di tal genere è legato in buona parte alla mancanza di preparazione dei docenti. E’ necessario saper suddividere gli allievi in gruppi eterogenei e dinamicamente validi, sostenerli nelle prime inevitabili difficoltà, superare le resistenze, interpretare la dinamica dei ruoli. D’altra parte la scuola è formata da gruppi: i professori della classe, quelli di una stessa materia, quelli iscritti al sindacato, il gruppo classe, il consiglio d’istituto, e così via. Una terza motivazione nei piccoli gruppi è la possibilità che questi offrono di analizzare le dinamiche gruppali e lo scattare di meccanismi di difesa; di comprendere il gioco dei ruoli e l’evolversi del vissuto personale; di analizzare e comprendere tutto questo proprio nel momento in cui avviene. Il processo di presa di coscienza in questi particolari tipi di piccolo gruppo è arricchito dall’analisi delle contraddizioni del ruolo dell’insegnante, evidenziate ad esempio dalla frattura tra vissuto personale e atteggiamento sociale, tra emozionalità e razionalità. La presa di coscienza investe quindi non solo la gamma esperienziale propria del piccolo gruppo, ma anche il contesto istituzionale in cui esso opera (presa di coscienza politica). La presa di coscienza emozionale e la presa di coscienza politica non sono due momenti separati o successivi, ma costituiscono due aspetti di uno stesso processo. E’ per questo che le esperienze che proponiamo nella formazione per insegnanti toccano tutti i livelli ai quali si esprime la personalità e agisce il condizionamento, e cioè: psicologico-fisico, emotivo-razionale, individuale-gruppale, affettivo-politico, personale-istituzionale. Non si può dire che sì tratti di gruppi non terapeutici poiché sollecitano processi di cambiamento personale, anche se non rispondono a esigenze terapeutiche individuali e non toccano livelli analitici profondi. Vi si affronta invece, da tutte le possibili angolazioni, il comportamento individuale e collettivo, relativo a determinate sollecitazioni, nel momento presente, e cioè lì nel gruppo. I livelli di consapevolezza che si raggiungono sono quindi legati unicamente alle risorse spontanee del gruppo, senza che vi sia calato dall’alto un qualunque modello (di sanità, di comportamento, di ruolo) precostituito. Vivere e analizzare allo stesso tempo cosa facilita e cosa ostacola la struttura di gruppo, ascoltare se stessi e gli altri, socializzare ciò che si sente o che si è compreso, significa partire da una situazione concreta, dal proprio vissuto storico, per poter arrivare ad un’analisi socioeconomica e strutturale più ampia, ma nata dalle situazioni e dalle persone stesse. Da qui possono scaturire anche proposte concrete per il lavoro d’insegnante: discutere in classe con gli studenti scelte relative al metodo di insegnamento, far rivivere agli allievi, socializzando la propria conoscenza, le tematiche dei seminari di formazione per docenti. Gli scopi che ci siamo prefissi sono non solo di suggerire nuove tecniche didattiche e strumenti alternativi al voto, alle interrogazioni e alla lezione classica, ma soprattutto di mettere a nudo le conseguenze della didattica e della struttura attuali.
La strutturazione e le tecniche dei gruppi
I nostri obbiettivi sono fondamentalmente di rendere coscienti i meccanismi che agiscono all’interno dell’istituzione scuola, così com’è adesso. La possibilità di operare per una trasformazione della scuola ha come premessa necessaria e indispensabile la consapevolezza dei canali e dei livelli attraverso cui passano il condizionamento ideologico e la repressione delle capacità di critica e di autonomia culturale. E’ importante comprendere come agiscono l’organizzazione dell’istituzione scuola, la struttura spaziale e temporale, le norme e i regolamenti; capire come influenzano i ruoli, sia degli insegnanti che degli alunni, sia del personale non docente che del collegio di presidenza. E’ necessario individuare i mezzi di comunicazione attraverso cui vengono imposti idee, valori e modalità di comportamento. Per realizzare, almeno in parte, questi obbiettivi abbiamo pensato di strutturare situazioni di gruppo che proponessero collegamenti analogici con quelle scolastiche. Ci si prefigge di suscitare nei partecipanti vissuti emotivamente intensi, immediatamente agganciabili con le esperienze istituzionali. In tal senso i gruppi di formazione per insegnanti rappresentano una proposta nuova sia rispetto ai gruppi terapeutici (centrati sul disagio e sul rimosso dell’individuo), sia rispetto ai gruppi di discussione e di apprendimento (orientati all’organizzazione verbale-razionale per risolvere un compito). Nei gruppi che abbiamo realizzato il processo prende le mosse da una iniziale destrutturazione del ruolo sociale abituale. Gli insegnanti, calati nella realtà attuale del gruppo, sono prima di tutto delle persone tra le persone. Gli si propone perciò di analizzare i livelli dell’accadere attuale per capire cosa sta veramente avvenendo dentro e fuori di loro. Attraverso esperienze adeguate si cerca di innescare il processo di nascita del gruppo, di una dimensione cioè in cui ognuno sia implicato con tutti gli altri, in un vissuto conscio e inconscio comune. Mancando un obbiettivo più specifico, quello solito dell’insegnare, è come se ci mancasse un sostegno. Non sappiamo più quali debbano essere qui i nostri ruoli . In genere siamo abituati ad avere e trasmettere informazioni. Ora siamo i protagonisti. Questo mi mette in crisi, ma mi dà anche un senso di liberazione: sono le osservazioni dei partecipanti, colte dal vivo. Il disagio per non sapere e non capire cosa si sta facendo, la preoccupazione di essere subito costruttivi, fanno già scaturire una complessità di problemi che saranno l’intelaiatura del lavoro successivo. La formazione del gruppo, processo che ha appena inizio, ma che continua indefinitamente, viene aiutata dal vivere il processo stesso in maniera cosciente, anche attraverso il corpo. L’espressione gruppale comincia ad arricchirsi di emotività. rompendo in parte il disagio iniziale e la norma sociale dell’isolamento. Il gruppo prosegue cominciando ad esaminare gli aspetti del lavoro e del ruolo degli insegnanti. I processi di comunicazione, ad esempio, vengono messi in luce da esperienze che riproducano tipi di comunicazione differenti che possono instaurarsi in classe: la comunicazione autoritaria discendente quella con possibilità di feedback degli ascoltatori, (in cui quasi sempre il feedback è solo formale e influenzato dal rapporto gregario-autoritario tra chi riceve e chi trasmette); la comunicazione di tipo circolare (nella quale non ci sono ruoli di leaders precostituiti o determinati dalla struttura spaziale stessa, e si evidenziano invece i ruoli che i partecipanti ricoprono effettivamente nel gruppo). Il materiale che emerge dalle osservazioni sulle emozioni, sulle difficoltà e sulle sensazioni costituisce l’elemento per una discussione che razionalizzi ciò che è emerso, e lo integri con la struttura della personalità. La conoscenza dei conflitti interiori sarebbe solo formale e intellettualistica se non ci fossero la profondità dell’emozione vissuta, il risveglio di sensazioni sopite, l’aggancio con lo scattare dei meccanismi di difesa. Via via si procede toccando le molte sfaccettature del ruolo dell’insegnante e dei suoi rapporti con gli studenti. Vengono affrontati i problemi di rapporto e di contatto, anche fisico, con gli allievi; il tabù del corpo e la differenza di « status dei due ruoli sono alla base dei pericoli e delle illusioni che vivono quegli insegnanti che fantasmatizzano la diminuzione o la scomparsa di questa differenza. Qui la ricchezza dei vissuti personali si intreccia continuamente con i problemi della scuola e con situazioni sociali ancor più generali. Il tabù del contatto, ad esempio, che nella scuola raggiunge una norma non esplicita ma rigida. Oppure la paura di esprimere una qualsivoglia affettività nei confronti degli studenti per non richiamare un contatto sessuale. O ancora la falsità di certe situazioni di illusoria amicizia tra insegnanti e allievi che non tengono minimamente in conto l’influenza della differenza dei ruoli. La scuola è istituzionalizzata anche per quanto riguarda il contatto tra le sue varie componenti, contatto che può essere solo verbale afferma uno dei partecipanti; « e anche quello verbale è quasi sempre solo formale » aggiunge un altro. Spesso siamo anche disposti a scherzare con il nostro corpo, ma guai a scherzare con la faccia, che è lo specchio della nostra persona. Le esperienze sulla comunicazione e sul contatto, che proponiamo agli insegnanti in formazione, stimolano i. problemi dell’imitazione, della chiusura in sé stessi, della paura dell’altro, con la scoperta che avviene quasi in tutti: « Mi sono accorto di non avere mai osservato abbastanza gli altri ».
Uno dei punti centrali della formazione degli insegnanti è certamente l’analisi del linguaggio non verbale, che così intensamente influenza i nostri comportamenti. Non per riappropriarsene, come sostiene superficialmente certo improvvisato filone dell’ “animazione”, ma per riappropriarsi dei significati e delle conseguenze che esso ha. In realtà il linguaggio del corpo è sempre presente nella comunicazione tra le persone. Solo clic in genere non ne siamo coscienti. Reagiamo con odio, rabbia, paura, attrazione, a segnali che ci arrivano dall’intera e complessa espressività del corpo degli altri: dall’atteggiamento del volto alla posizione delle spalle, delle braccia e del collo. Dal modo in cui ci si muove e si cammina al tono e al timbro della voce. Dall’intensità e gli oggetti degli sguardi alla tonalità del colore della pelle. Questo linguaggio sempre presente ha e suscita forti intensità emotive, proprio perchè è diretto, non è mediato e smussato dalle parole. L’effetto che può avere nell’area dell’interazione tra insegnante e allievi è quindi dirompente; anche perché l’insegnante, con tutto il suo repertorio comportamentale, è sempre oggetto di transfert per l’allievo, è quindi sempre un modello. Gli insegnanti scoprono spontaneamente nel gruppo che « il linguaggio non verbale è immediato e molto intenso, e collegano questo tipo di comunicazione ad una serie di problemi di rapporto con gli studenti: « Si può aver paura degli studenti senza rendersene conto, ed esprimere ostilità nei loro confronti . Mi rendo conto di come molti studenti non abbiano fiducia anche in certi professori di sinistra che si dichiarano disponibili solo a parole, ma non nell’atteggiamento concreto ». Quando mi arrabbio adopero inconsapevolmente tutti i mezzi che offre la scuola per essere repressiva, anche se continuo ad affermare verbalmente il contrario. Le strutture scolastiche fanno sì che io comunichi solo all’intera classe, senza coinvolgermi direttamente, e senza riuscire a vedere gli allievi come singole persone. Spesso l’insegnante che si definisce aperto e democratico, che a parole sostiene di entrare in rapporto con gli studenti e di essere disponibile ad una collaborazione, esprime attraverso il linguaggio del corpo una posizione del tutto opposta: autoritarismo, disprezzo, superiorità, e così via. Perciò nei gruppi di formazione viene dato spazio sia all’analisi del linguaggio del corpo, sia all’individuazione della grave frattura che così spesso esiste tra razionalità ed emotività, o in altre parole tra ciò che si crede di essere e di provare e ciò che si esprime realmente all’esterno con tutto il corpo. Esperienze adeguate che proponiamo agli insegnanti riescono a mettere in luce queste scissioni tra parti contrastanti della personalità, e a proporre necessità e maniera di trovare delle vie di ricomposizione. Basta pensare all’importanza che può avere la maniera di usare lo sguardo degli insegnanti (cosa esprime, a chi è rivolto, a chi è sempre negato, ecc.) nei meccanismi di controllo, di selezione, di emarginazione dei cattivi, per capire quali prospettive si schiudano nei gruppi, soltanto a lavorare al livello degli occhi. Dopo aver affrontato i problemi della comunicazione, il processo di formazione e la dinamica di gruppo, i livelli del linguaggio corporeo e le scissioni di personalità( ed è dopo solo in parte cronologico) non possiamo trascurare l’analisi dell’ istituzione scuola da una parte e i problemi di lavoro di gruppo dall’altra; cosa che facciamo in genere attraverso l’uso di role-playing, sociodrammi, esercitazioni di dinamica di gruppo e di simulazioni di casi. Le difficoltà di organizzare o lavori di gruppo si concretizzano nelle difficoltà di far coincidere tempi e ritmi di tutti i componenti il gruppo, nell’aggressività e competitività che si scatenano nei processi di decisione, e infine nelle problematiche di leadership. Nei seminari di formazione per insegnanti vengono rivissute situazioni ed emozioni connesse a rapporti di potere: problemi di inclusione-esclusione rispetto al gruppo, meccanismi ambivalenti connessi con le capacità sia di controllare, sia di abbandonarsi agli altri. E’ superfluo sottolineare come anche in questo caso resistenze, vissuti emotivi, angosce e paure siano intimamente connessi con il proprio corpo e racchiusi in quella che Reich definì la corazza muscolare. L’approccio a queste dinamiche, dunque, non esclude ancora una volta l’intervento e la partecipazione del corpo. Le esperienze proposte agli insegnanti permettono un’elaborazione sul modo in cui sono strettamente connessi aspetto personale e aspetto istituzionale del loro ruolo. La stessa strutturazione spaziale del gruppo è lo spunto per prendere coscienza di come anche la maniera in cui sono strutturati e suddivisi gli spazi nella scuola sia un veicolo di imposizione di valori e di mentalità. Ne sono alcuni esempi la struttura della classe (fatta per favorire un controllo totale da parte del docente), la divisione rigida in classi e aule, la mancanza di luoghi di incontro per gli studenti, la sala dei professori riservata solo a questi ultimi, l’assenza di strutture che facilitino in genere la socializzazione. Questa continua separazione, realizzata così rigidamente, rende difficile incontrarsi, dialogare, confrontarsi tra quelli che nella scuola operano o studiano, ed è una condizione necessaria perché la scuola conservi il suo ruolo manipolatorio e selettivo. Ma anche la struttura dei tempi ha ben precise influenze. Esistono differenze fra i tempi individuali, i tempi affettivi (che permettono di sentire) e quelli razionali (che permettono di capire), i tempi di gruppo, i tempi politici e sociali. Non conoscere queste differenze è causa di incomprensioni, di difficoltà nel lavoro di gruppo, di spinte individualistiche; è causa di formazione di caratteri rigidamente strutturati. Esperienze di gruppo indicano come solo l’esistenza di un buon contatto interpersonale riesca a modificare sensibilmente la rigidità di questi tempi, e portare a situazioni collettive costruttive. Ma un buon contatto implica necessariamente il coinvolgimento dei vissuti personali, dei bisogni e dei sentimenti che, socializzati, diventano una ricchezza per il gruppo e gli permettono di agire per aumentare coesione, consapevolezza, capacità.
Il lavoro nella scuola
La sperimentazione dei gruppi dì formazione ci ha permesso di accumulare esperienze e capacità per compiere il passo successivo: l’attività di aggiornamento e formazione all’interno stesso dell’istituzione scuola. Abbiamo svolto corsi e seminari in scuole elementari, medie e superiori. Il lavoro nell’istituzione implica una partecipazione più generalizzata degli insegnanti; non ci sono, cioè, solo quelli che richiedono volontariamente di partecipare ad un gruppo di formazione. Le conseguenze sono di due ordini differenti. Da una parte sono molto più forti resistenze e diffidenze nei confronti dei tecnici che vengono a proporre questo determinato tipo di corsi. Non tutti sono ugualmente interessati e disposti a mettere in discussione il proprio operato e il proprio comportamento. Bisogna però riconoscere che abbiamo quasi sempre riscontrato, dopo un primo impatto, un accrescersi di interesse. Presentare tra gli obbiettivi di lavoro temi quali il rapporto docente-studente, il lavoro di gruppo, la comunicazione, l’analisi dell’istituzione, risponde, almeno in parte, alla sete di informazione che gli insegnanti hanno relativamente a questi argomenti, risponde anche ai bisogni di conoscenze più rigorose e di valide teorie psicopedagogiche. Basti pensare che la quasi totalità dei docenti non ha mai avuto una preparazione in questo senso, nemmeno all’università, e che fonda le proprie conoscenze unicamente sull’esperienza empirica fatta in classe. L’altro aspetto che caratterizza il lavoro svolto direttamente nell’istituzione è la maggiore specificità che si può realizzare. L’analisi istituzionale può aiutare a disegnare una mappa della suddivisione di docenti in gruppi e sottogruppi nella scuola, dei rapporti di forza esistenti, delle possibilità di formare seminari di studio e di ricerca. Essere presenti con la nostra équipe nel posto di lavoro può far emergere contraddizioni più esplosive e conflitti più profondi. Possono venir analizzati, col contributo di più punti di vista, concetti controversi come valutazione , apprendimento,disadattamento scolastico. Il risultato è quantomeno di demistificarne i significati tradizionali, che una certa letteratura pseudoscientifica vuol far passare come gli unici possibili, e che nascono invece da una adesione ideologica ad una scuola autoritaria e classista, mascherata da « scuola seria ». Abbiamo così scoperto capacità di dibattito vivace e acceso, notevoli spinte al cambiamento, schieramenti pro e contro innovazioni pedagogiche non più corrispondenti alla tradizionale contrapposizione forze di sinistra e di destra. Ci è sembrato molto interessante constatare che nella scuola si possono organizzare corsi di formazione anche a livello di piccoli gruppi, e si possono toccare tutti i temi che in genere affrontiamo nei gruppi per insegnanti. non escluso quello del linguaggio del corpo. Certo le tecniche devono essere differenti, e l’approccio non può essere quello di partire sempre dal vissuto personale per arrivare ai problemi sociali. Deve esserci, come abbiamo già detto, anche l’analisi diretta di quanto avviene nella struttura scolastica, l’analisi dell’attuale e concreta situazione istituzionale. Siamo anche riusciti a lavorare con gruppi numerosi, fino a circa 100- 150 persone; in questi casi alternavamo momenti di assemblea generale a momenti di esperienze ed esercitazioni in piccoli gruppi, volta a volta formatisi all’interno del grande gruppo. Durante un seminario svolto in un istituto magistrale è stata di notevole interesse la presenza anche degli studenti del 5° anno; con il risultato di un’ampliarsi e di un moltiplicarsi di punti di vista, nonché di serrati confronti tra allievi e docenti. Si risvegliavano interessi e voglia di partecipare, che nella vita scolastica normale parevano ormai spenti. In realtà la nostra équipe aveva fornito, tra l’altro, spunti, spazi e possibilità di incontro tra docenti e studenti, che non fossero rigidamente finalizzati alle materie di studio, oppure a compiti burocratici-amministrativi, come accade spesso negli organi collegiali. Un altro notevole effetto sull’intensità del dialogo tra l’insegnante e gli alunni della propria classe era dovuto alla presenza moderatrice degli altri docenti, e al contributo di molti e differenti punti di vista. Questo rompeva l’isolamento tradizionale della singola classe e permetteva un arricchimento sia nel confronto che nello scontro, senza neanche più troppe remore e troppi timori. Operare direttamente nell’istituzione porta l’équipe a dover affrontare anche il problema della committenza. I committenti non sono più i singoli insegnanti che vogliono partecipare ai gruppi di formazione, ma il Consiglio di circolo o d’istituto e il Provveditorato agli studi. Può accadere allora che sia necessario smussare spigolosità, realizzare compromessi e abbassare il tiro degli obbiettivi. Resta comunque il fatto che realizzare anche solo obbiettivi più modesti rappresenta un grosso passo avanti verso la realizzazione di una scuola viva, aperta all’esterno e capace di affrontare e discutere i propri problemi.
CONCLUSIONI
Ci sembra che l’attività dei gruppi di formazione tenuti presso il Centro Studi W. Reich, e quelle svolte all’interno delle scuole possano considerarsi un interessante terreno sperimentale. Abbiamo voluto progettare un tipo di gruppo che affrontasse, in ultima analisi. i problemi di leadership e di potere. Il gruppo si presenta come un gruppo strutturato, centrato sul vissuto, e nel quale è presente uno sforzo di separare e individuai-e problemi, livelli e variabili. Si cerca di far percorrere agli insegnanti un iter che possa essere paragonato, fatte le debite trasposizioni, a quello che percorrono gli allievi nel rapporto col docente. Il potere del conduttore di gruppo è un dato che viene immesso già nelle ipotesi di lavoro. Perciò accanto ai tradizionali compiti di facilitatore e di filo rosso dei rapporti di gruppo, il conduttore modifica il proprio ruolo man mano che il gruppo procede. Da una presenza più strutturata, formale e volutamente autorevole si passa a un’implicazione via via crescente, nella misura in cui il gruppo, consapevolmente e nel suo insieme, pretende questo cambiamento e la ridiscussione della figura dei trainers. Per arrivare, infine, a socializzare e trasmettere a tutto il gruppo tecniche, conoscenze e ipotesi di lavoro, nell’intento di fornire agli insegnanti gli strumenti (oltre alla necessaria presa di coscienza) per gestire consapevolmente qualunque analoga situazione di gruppo. E’ questo il suggerimento operativo che emerge dall’impostazione del nostro lavoro: non far calare sugli studenti, dall’alto, soluzioni preconfezionate, modi di vedere e ideologie che non gli appartengono; non manipolare paternalisticamente, ma fornire agli allievi gli strumenti per capire i processi di condizionamento, in modo che possano distanziarsene dopo averne preso coscienza. Perciò nei gruppi di formazione per insegnanti i trainers si mantengono esclusivamente ai livelli di ciò che il gruppo produce ed esprime, senza immettervi nient’altro dall’esterno. Passando al lavoro nell’istituzione, gli obbiettivi cui abbiamo accennato sopra si allargano e si concretizzano allo stesso tempo. Possiamo riferirci alla nostra esperienza come ad una verifica sperimentale di un’attività che dovrebbe in realtà essere svolta con continuità. La possiamo anche considerare come una sperimentazione sul ruolo dello psicologo nelle scuole. Non più intervenire per diagnosticare, isolare ed emarginare i casi patologici (handicappati, disadattati, ragazzi difficili), ma operare in un’attività che coinvolga globalmente i problemi della scuola: insegnamento, apprendimento, relazione pedagogica. Quindi un’attività diretta in particolar modo agli insegnanti, intesa a influire sull’area del rapporto docente – studente e quindi sui livelli di consapevolezza, di relazione e di partecipazione. Una siffatta formazione continuativa rappresenterebbe una reale attività di prevenzione per il disagio e i disturbi di bambini in disadattamento scolastico. Basti pensare a quanto una certa patologia scolastica, che cioè scoppia in maniera manifesta nell’età scolare, e in specie agli inizi della scuola media, sia aggravata dagli atteggiamenti sbagliati dell’insegnante; quando quest’ultimo non sia addirittura una delle cause determinanti della cosiddetta “nevrosi scolastica”. E’ perciò che ritengo necessario un lavoro costante dello psicologo, in equipe, all’ interno delle scuole, le cui caratteristiche non cadano nella medicalizzazione dei casi difficili , ma influiscano in senso più generale sulla relazione pedagogica. E’ questo un compito che dovrebbe essere assolto dalle strutture sociosanitarie territoriali, che, con un intervento di tipo polivalente, potrebbero rispondere ai problemi di una scuola profondamente in crisi. A patto però che si realizzi corrispondentemente un decentramento di strutture decisionali e organizzative, che diano la possibilità di modificare concretamente metodi, spazi, programmi e quant’altro possa avviare una reale trasformazione della scuola.