in Modelli psicologici e psicoterapie a confronto” – Ed. Bulzoni, Roma, 1986.
Luciano Rispoli, psicologo e psicoterapeuta, evidenzia l’importanza di mettere a punto modelli teorici che, oltre alla capacità di « leggere » i fenomeni psicologici individuali e di gruppo, abbiano anche potenzialità di produrre risultati, di prevedere e influenzare cambiamenti.
Uno dei problemi che si può considerare caratteristico della Psicologia clinica è quello di essere una disciplina troppo spesso pressata da due esigenze diverse. Da un lato il dover mantenere una rigorosità scientifica che le permetta di approfondire la conoscenza di complessi e delicati processi, senza sacrificare la coerenza interna delle sue proposizioni, la sperimentabilità e la ripetibilità delle sue scoperte. Dall’altro la psicologia clinica si trova a dover fare i conti con una richiesta sempre più diffusa di intervento «psicoterapeutico », e quindi con la necessità pragmatica di rispondere a questa drammatica esigenza di risolvere, modificare e prevenire.
Da qui l’importanza di mettere a punto modelli teorici che, oltre alla capacità di « leggere » i fenomeni psicologici individuali e di gruppo, abbiano anche potenzialità di produrre risultati, di prevedere e influenzare cambiamenti. A questa disciplina si chiede anche e soprattutto di realizzare una prevenzione primaria capace almeno di incidere e di evidenziare le condizioni al contorno del disagio psichico (sociali, culturali ed emotive), nelle quali si alimenta oggi il proliferare di disturbi spesso molto precoci, in cui ci si imbatte sempre più frequentemente. quanto sperimentiamo quotidianamente, a partire ad esempio dalla nostra struttura sperimentale e consultoriale per l’infanzia. In un quadro del genere si inserisce la ricerca di nuovi modelli e nuove metodologie psicoterapiche, come ad esempio quelle che utilizzano, poggiandosi su un’elaborazione concettuale adeguata, l’intervento anche sul livello somatico, all’interno del quale si iscrivono comunque accadimenti significativi nella relazione di campo terapeutico.
Il corpo può essere infatti pensato, sognato, immaginato; esso può essere anche considerato come la rappresentazione simbolica del « mentale » e dei suoi meccanismi difensivi o patologici. In tal caso però questo corpo-pensiero potrà essere reso visibile e comunicabile nella relazione terapeutica solo attraverso il racconto volontario e consapevole del paziente; cioè attraverso un settore abbastanza ristretto del flusso di comunicazioni, rappresentato solo dalle parole intenzionalmente pronunciate.
Il piano somatico nel modello della Vegetoterapia Carattero-analitica però è qualcosa di più; qualcosa di più ampio e di più complesso. Il corpo è infatti anche l’esistente attuale, quello che si esprime qui e ora nella situazione terapeutica, di qualunque tipo essa sia, individuale, gruppale o istituzionale. Ciò di cui dobbiamo tener conto dunque è anche il corpo vivente ed espressivo. Il suo linguaggio è il movimento, o con un’altra parola dal risvolto più squisitamente psichico, emozione: sia il movimento esterno e « visibile », sia quello interno « percepibile ».
Il sistema organismo può dunque essere sia raccontabile (pensiero, elaborazioni percettive) che visibile (movimenti di muscoli ed apparati): si supera così la classica e vecchia stereotipia verbale-non verbale. Il corpo in senso più allargato è infatti sistema aperto, « fatto » di interazioni con l’ambiente ai suoi vari livelli, che solo per comodità didascalica distinguiamo in emotivo-affettivo, fisiologico, simbolico.
Le « significazioni » delle sue interazioni non sono dunque attribuibili nell’ambito del singolo piano, ma sono esse stesse relazioni con gli altri sistemi ambientali, così come emozione è movimento. Le significazioni affondano perciò nell’infanzia, nell’area del « Vissuto », cioè dell’intersezione di quella falsa antitesi nella quale spesso si cristallizzano le dimensioni vita biologica – vita sociale. Esse si costituiscono nella circolarità costituita dalla sequenza: Emozioni e movimenti primordiali — Tensioni — Accoglimento dell’ambiente. Il senso nasce nel bambino dalla capacità di « leggersi », sentirsi e pensarsi come l’ambiente lo percepisce. Questo leggersi di cui parlo non è solo udito e vista, ma è movimento corporeo interno, tutt’uno con l’ascoltare e il vedere.
L’ambiente non è dunque una interezza monolitica, specchio bilaterale della realtà individuale; o peggio catena interminabile di eventi legati, mediante un’improbabile legge di causa-effetto, al vissuto emotivo di ogni singola persona. Esso è piuttosto come un’immagine ologrammatica, a tutto tondo, di una realtà interno-esterno inscindibile. L’immagine che il bambino legge è il sorriso-pancia-colma di latte; è il freddo-brivido-volto di indifferenza; oppure ancora schiena arcuata-cadere-vuoto; o calore-braccia-tocco della mano-volto vicino. Stiamo entrando così nel vivo di quello che io definisco il modello euristico della stratificazione emozionale. Tutte le emozioni primarie, non disgiunte però dagli esiti delle loro vicende storiche nell’ambiente, sono in realtà co-presenti nell’attuale del corpo. Non si potrebbe più in tal senso parlare di una zona del corpo come « corrispettivo simbolico » o come « serbatoio» di una sola ben determinata emozione, poiché le emozioni primarie sarebbero presenti in tutte quelle zone coinvolte, in una data fase evolutiva, nella espressione o nella soppressione sia di un’emozione di base, sia delle successive specificazioni e complessificazioni. Così durante un intervento di vegetoterapia, dal collo, ad esempio, possono emergere sensazioni di rabbia e di controllo, di impedimento e di soffocamento nella voce, ma anche di mancanza di supporto e di angoscia abbandonica. Analogamente, per fare un altro esempio, alla schiena possono essere collegati paura-chiusura, rabbia trattenuta, poter crescere e farcerla da soli, un senso primario di essere sostenuti, o ancora il piacere, il terrore, ma anche la rigidità.
Il problema a questo punto è diagnostico innanzitutto; nel senso che è importante leggere e inquadrare nello schema teorico di riferimento in modo elastico e dinamico i segni che vanno riferiti a numerosi contesti: quello culturale-cognitivo, quello simbolico, quello delle modificazioni somatiche visibili ai terapeuta o avvertite dal paziente.
Tutto ciò va poi ricollegato alla struttura caratteriale o somatica della persona. Il senso diagnostico deriva appunto dalla possibilità di leggere tutti questi contesti in modo non separato, come non suddiviso è il flusso di eventi-comunicazioni che intercorrono nella relazione terapeutica, su tutti quei livelli che abbiamo considerato anche per la struttura corporea in senso allargato.
Il problema è però anche e soprattutto terapeutico, in tutt’uno con la diagnosi, affinché la capacità di contestualizzare e di dar senso possa significare capacità di « intervenire > su questo « flusso » di relazione. La ricezione e la rimodulazione terapeutica di questo flusso si basano anche in vegetoterapia sui due strumenti cardini del transfert e del controtransfert, ma in senso « allargato »: ciò vuoi dire che nella rete di sentimenti che definiscono la relazione terapeutica in tutte le direzioni, vengono fatte rientrare, sia nel percepire che nello esprimere, le strutture caratteriali e somatiche non solo del paziente ma anche del terapeuta.
Ciò che è particolarmente interessante nel modello delle « stratificazioni emozionali », recente elaborazione mutuata dalla vegetoterapia e dall’analisi caratteriale, è che esso è applicabile anche per una lettura specifica del periodo dello sviluppo evolutivo del bambino. In fasi successive di vita il bambino adopera soprattutto il movimento del corpo nello sperimentare le emozioni di base, e via via le coloriture emotive nelle quali quelle di base si diversificano. È possibile seguire punto per punto le vicissitudini di queste aree emozionali ripercorrendo insieme col bambino l’uso diverso che man mano egli fa delle sue zone corporee; ad esempio da quando le braccia hanno solo movimenti iniziali di espansione, all’espressione di eccitazioni particolarmente intense, al poter toccare, al respingere, al prendere e avvicinare, al colpire con rabbia.
All’interno di un tale quadro teorico le emozioni più complesse, quindi, non si aggiungerebbero a quelle di base, ma si diversificherebbero in sfumature emotive sempre nuove poiché sempre collegate allo « sperimentare » del bambino, al suo muoversi e sentirsi muovere, al suo leggersi internamente in connessione con l’approvazione o la disapprovazione del suo ambiente affettivo. Non si potrebbe perciò parlare di zone corporee prevalenti affettivamente nella storia evolutiva del bambino, poiché sarebbe l’insieme dei suoi movimenti interni-esterni a dare spessore emotivo alle varie parti e funzioni del corpo. Ma non sarebbe più neppure utile fermarsi sui modelli artefatti e unidimensionali delle tipologie caratteriali, poiché il processo « evoluzionistico » e « dinamico » della stratificazione emozionale crea significati senza bisogno di inquadramenti e incasellamenti astratti.
È la memoria corporea, diffusa e generalizzata a livello periferico, (anche se connessa poi col sistema nervoso centrale) che costituirebbe il substrato esperienziale capace di generare per « ibridazione » nuove « culture » psicoemotive. Le complesse sfumature che ne derivano sarebbero le medesime emozioni di base ri-conosciute e ri-sentite (piuttosto che ripensate) attraverso:
1) la reazione affettiva ambientale nella dimensione accettazione-rifiuto;
2) le accresciute possibilità di percepire sensazioni più dettagliate dalle varie zone somatiche;
3) le capacità di compiere movimenti più precisi e complessi con tutte le parti del corpo.
Da ciò risulta più chiaro poi perché, secondo la Vegetoterapia Carattero-Analitica e il modello della « stratificazione emozionale », sia impossibile intervenire solo su uno dei due poli delle scissioni che intervengono nel bambino come reazioni alla negatività dell’ambiente affettivo, quali psiche-soma, pensiero logico-pensiero creativo, esprimere-rappresentarsi. I due poli della scissione sono infatti sempre collegati tra loro, ma solo a livello molto profondo: modificazioni su di uno non portano automaticamente a modificazioni stabili e durature sull’altro, poiché quest’ultimo continuerebbe a rimodificare in senso inverso la situazione, intervenendo comunque nel piano della relazione terapeutica, e in quello del cambiamento.
È necessario perciò che ci si muova verso modelli teorici che tengano conto dell’esistenza e coesistenza dei vari livelli multidimensionali, anche all’interno di ciò che si definisce come corporeo. Proprio accogliendo questa tendenza, è stato per noi possibile, nel ritagliare i processi della stratificazione emozionale, affrontare alcuni nodi terapeutici particolarmente delicati per chi intenda definire le funzioni attive di un intervento con la singola persona, ma anche con i gruppi e con le istituzioni. È stato cioè possibile ridefinire e dare un senso nuovo sia a concetti più specificamente interni allo stesso modello, quali quelli di punti chiave, blocchi corporei, livelli « adiacenti » per funzionalità emozionale; sia anche a concetti più generali relativi alle problematiche di ogni psicoterapia, quali quelli di transfert e controtransfert, di rimozione e di sequenza terapeutica, proprio attraverso la stimolazione di aperture e di amplificazioni visuali che l’input « corpo » ha suggerito nella sperimentazione e nella rielaborazione teorica.