Luciano Rispoli psicologo: L’area teorico-clinica della psicoterapia corporea.

in “Dossier per la Commissione ministeriale per l’art. 3” – Napoli, Giugno 1990.

Luciano Rispoli, Presidente  “SIF”   (Società Italiana  per  la  Psicoterapia Funzionale). Comitato Scientifico “EABP” {European Association of Body-Psychotherapy), “AIS” (Association International Somatothérapie), “CSI” (Comité    International    Thérapie Psycho-corporelle).  Direttore European Training for Functional Therapy.  Presidente Associazione Nazionale per la Psicoterapia Corporea. La psicoterapia corporea è un insieme di metodologie, di tecniche, di ipotesi, che si caratterizzano per uno studio approfondito delle relazioni tra mentale e corporeo, per una teoria di fondo che ipotizza  l’unitarietà dello psiche-soma, superandone il tradizionale dualismo.


L’intervento del corpo in psicoterapia ha mutato non solo le tecniche ma l’intero quadro  teorico. I  nuovi  sviluppi  si affacciano  sull’insieme  delle  funzioni  e  dei  plani  che  dal “macro” conducono fino al “micro” del sistemi vitali profondi. L’intrecciarsi delle vicende del corpo da una parte e della psicoterapia dall’altra costituisce una  storia che ha radici molto  antiche  e  che,  a  ben  guardarla,  ha  un  andamento progressivo, un chiaro trend, verso nuovi interessanti sviluppi teorici e tecnici.

La psicoterapia corporea è un insieme di metodologie, di tecniche, di ipotesi, che si caratterizzano non tanto per avere come loro oggetto il corpo, ma per uno studio approfondito delle relazioni tra mentale e corporeo, per una teoria di fondo che ipotizza   l’unitarietà dello psiche-soma, superandone il tradizionale dualismo. Viene messa in evidenza la circolarità e la pariteticità delle correlazioni tra questi due aspetti della persona,  al posto di una visione di tipo piramidale, di un corporeo  sottomesso  ad un mentale  che  “dall’alto”  controlla l’intero funzionamento dell’organismo.

La psicoterapia corporea è dunque una delle grandi aree teoriche che costituiscono oggi la psicoterapia. Possiamo suddividere la storia della presenza del corpo nella psicoterapia  in  quattro  fasi  differenti,  non  sempre distinte cronologicamente.

Il corpo nelle psicoterapie.

Sin dai primi  movimenti  di  questa  disciplina  si  è cominciata  a  delinearsi  la  necessità di uno studio dei funzionamenti psichici che tenesse in debita considerazione il suo complesso intrecciarsi con i processi corporei. In Freud questo aspetto si presentava, in accordo con il modello della scienza del tempo,  come “biologismo”,  nella sua teoria delle pulsioni. Ma successivamente l’area psicoanalitica finì  per  abbandonare  le  prime  opzioni  biologistiche  per privilegiare e sviluppare lo studio di quegli aspetti legati al soggettivo, all’intrapsichico, attraverso metodologie che erano limitate  al  mondo  del  simbolico, al  mezzo di  comunicazione verbale,  all’interpretazione  dei  vissuti  transferenziali  dei pazienti. Per lungo tempo le psicoterapie analitiche e verbali hanno, nella maggior parte dei loro esponenti,  trascurato il corporeo come  mezzo  di  intervento  diretto, leggendolo  solo  come epifenomeno del   mentale, come luogo di   lapsus o di somatizzazioni,  come metafora dello psichico. Il corpo tutt’al più veniva visto come la matrice iniziale della personalità: un psicofisiologico (Jacobson), un protomentale (Bion), dal quale a poco a poco si sviluppa una funzione superiore, il pensiero, ben più importante, e in grado di controllare il fisico. Insieme  al  corporeo  veniva  perduta  la  possibilità  di sperimentare direttamente in terapia nuove modalità di muoversi, di  reagire,  di  percepirsi, modificando  attivamente  arcaiche sensazioni, emozioni e modalità di essere, che si cristallizzano appunto  in  posture  fisse, in  movimenti  stereotipati, in funzionamenti alterati di sistemi interni dell’organismo. Non era stato ancora scoperto quale ricchezza e intensità di ricordi, emozioni e vissuti (legati persino a periodi di vita preverbali) il lavoro sul corpo è in grado di far emergere. Non si era ancora spostata l’attenzione dalla sola interpretazione, o dalla  sola  ricostruzione  degli  schemi  cognitivi,  ad  altri importanti aspetti della relazione terapeutica: il contenimento, l’accoglimento empatico, il soddisfacimento dei bisogni arcaici, le esperienze riparatrici. Ma il corpo non poteva essere relegato più a lungo alla sola storia evolutiva dell’individuo; perché il corpo è comunque presente anche nell’attuale, all’interno della stessa relazione terapeutica, nei molteplici processi di comunicazione. Il corpo esiste nei silenzi,  nel tono di voce,  nelle posizioni che il terapeuta prende rispetto al paziente nel setting, nei movimenti, in tutte le sue modalità di esprimere. Con il corpo si “parla”, si  interagisce;  e  spesso  in modo  implicito  e  inconsapevole cosicché l’andamento del rapporto corre il rischio di prendere strade di cui poi non ci si accorge. Ecco perché l’importanza del corpo in psicoterapia è stata sempre riconosciuta  (anche se in modo non sempre organico ed esplicito) nella storia della psicologia clinica. All’interno del modello psicoanalitico possiamo citare come esempi la tecnica attiva di Ferenczi (intervenire sul corpo del paziente per calmarlo e rassicurarlo);  l’holding di Winnicott (che introduce il bisogno di essere “presi”);  il concetto di amore primario di Balint (che comporta la necessità di rispondere alla capacità di amore che il bambino, e dunque il paziente in regressione,  ha sin dalle prime fasi di vita);  le concezioni sulla tecnica di Racker (andare oltre gli strumenti tradizionali per analizzare la relazione terapeuta-paziente); l’aptonomia (il contatto fisico in seduta) di This e Veldman; via via fino alle formulazioni sul Sé (Kohut, Stern ed altri), la cui concezione comporta un’idea di relazione ben più ampia dell’analisi dei meccanismi di difesa e di resistenza. Esempi altrettanto significativi vengono da altri modelli clinici: dal behaviorismo con i suoi concetti di modeling e flooding  (che  prendono  in  considerazione  la  possibilità  di modificare anche “atteggiamenti” e “meccanismi” corporei; dalla gestalt con il suo interesse per il “qui e ora” della relazione, per come il corpo si rappresenta e rappresenta se stesso agli altri, per l’importanza data al “contatto”; dalle varie tecniche di  allentamento delle  tensioni  corporee all’interno di varie psicoterapie. Anche  lo  psicodramma  appartiene  a  quella  categoria  di approcci terapeutici che prestano attenzione al corpo ma che non ne colgono tutte le potenzialità innovative. L’utilizzazione del corpo  in  azioni  teatrali  è  più  che  altro  strumentale  alla “rappresentazione” dei conflitti fantasmatici dei pazienti, cosi come le tecniche di rilassamento corporeo sono finalizzate solo ad arricchire l’emergere dei vissuti. Non si arriva ancora a dare spiegazioni  teoriche  agli  intensi,  inimmaginati  ed  eclatanti fenomeni di abreazione e regressione, alle incredibili modificazioni psicofisiologiche che vanno man mano emergendo con l’uso  del  corporeo,  attraverso  nuove  congruenti  ipotesi  sul rapporto corpo-mente; ne si arriva a riconoscere la necessità di riformulare di conseguenza le vecchie teorie di partenza.

Le psicoterapie ad “integrazione” corporea.

Solo dalle psicoterapie ad “integrazione” corporea il corpo viene finalmente considerato in maniera esplicita alla pari e in intima  connessione  con  le  altre  parti  della  persona; e si cominciano a costruire ipotesi del perché intervenire sul corpo direttamente aiuti a superare quegli “impasse” che le terapie verbali registravano. Il corpo non viene più visto solo come immagine o schema corporeo,  o come metafora dello psichico,  o solo come aspetto simbolico dei conflitti intrapsichici; e nemmeno soltanto come contenitore di vissuti. Anzi è lo stesso dualismo psiche-soma ad essere superato perché insoddisfacente e distorcente. Le nuove suggestive ipotesi considerano di poter accedere a una memoria corporea situata a più livelli, diffusi in tutte le parti  dell’organismo.  I  risultati  più  recenti  della  ricerca scientifica hanno appurato che sin dalla nascita è tutto il corpo del bambino ad essere profondamente coinvolto nelle relazioni affettive  con  l’ambiente;  e  gli  esiti di  tali  relazioni  si iscrivono  nel  corpo,  attraverso  l’instaurarsi  di  fissità  e ripetitività di funzionamento  (respirazione alterata, movimenti stereotipati, posture abituali,  reazioni automatiche inadeguate alle    reali    condizioni    esterne,    attivazioni    croniche simpaticotoniche, ecc.). Mobilizzando i vari distretti corporei è possibile ritrovare vari strati di emozioni e vissuti che,  in vari periodi, quella parte del corpo ha contribuito ad esprimere direttamente,  o  a  nascondere,  o  ad  esasperare,  a  seconda dell’andamento delle relazioni affettive con l’ambiente. Reich con la sua vegetoterapia carattere-analitica fu uno dei primi che cominciò ad approcciare direttamente,  e in modo profondo e sistematico, il corporeo in terapia. I suoi concetti di identità funzionale tra psiche e soma, di cristallizzazioni delle   formazioni caratteriali, di alterazioni croniche dell’equilibrio del sistema neurovegetativo,  aprono la strada alla grande scoperta che nel corpo è scritta tutta la storia delle nostre emozioni e dello sviluppo della nostra vita. Reich  integra  il  lavoro  terapeutico  tradizionale  con interventi sul corpo, mirati a modificare condizioni muscolari e neurovegetative che altrimenti avrebbero continuato a retroagire immodificate sul paziente, riportandolo allo stato di nevrosi. La  psicomotricità,  pur  partendo  da  un  intervento  di stimolazione  motoria  del  bambino  teso  a  recuperare  deficit evolutivi,  si sviluppa spesso  (soprattutto con Le Boulch e La Pierre)  in  un  quadro  più  complesso  di  metodologie  che  si avvicinano  alla  psicoterapia.  Dalla  psicomotricità  vengono nettamente riconfermate le ipotesi di un intreccio indissolubile tra psiche e corpo; ma non si arriva mai a teorizzazioni complete sul  funzionamento della persona,  e  la psicomotricità  finisce spesso per appoggiarsi ad altre teorie preesistenti. La bioenergetica di Lowen sviluppa il discorso di Reich soprattutto riguardo le varie possibili “tipologie caratteriali”, e cerca di ritrovare nel corporeo i meccanismi e le istanze psichiche ipotizzati dalla psicoanalisi. Ma spesso sfocia in un eccessivo parallelismo che finisce per perpetuare per certi versi la scissione mente-corpo, o al contrario in un tentativo troppo meccanicistico di far corrispondere ad alcuni distretti corporei soltanto determinati tipi di emozioni (la rabbia nelle mascelle, il controllo nel collo, l’affettività nel torace, e così via). Ma  la  psicoterapia  ad  integrazione  corporea  (o  più semplicemente psicoterapia corporea)  si sviluppava notevolmente anche in altri approcci meno “famosi” ma ricchi di elaborazioni e prospettive scientificamente  fondate:  sia in America  (Esalen, Boston, New York, Reno, ecc.) che in Europa (la scuola norvegese e danese,  alcuni  istituti  e  ricercatori  tedeschi,  il  filone inglese,  quello  francese,  la  scuola  italiana  originatasi  a Napoli).

Le psicoterapie a “mediazione” corporea.

Sotto l’impatto della “moda” del corpo  (reattiva ad un lungo periodo di “esclusione”), della scoperta di come con il corpo facilmente emergano emozioni e vissuti profondi, e a causa di una contemporanea rivalorizzazione di discipline “corporee” orientali, sono nate e si sono moltiplicate tecniche terapeutiche che  puntano  esclusivamente  al  corporeo.  L'”illusione”  della cosiddetta  “liberazione”  si basa sull’erroneo presupposto che basta far muovere il corpo e “scaricarlo” per star bene; come se anche il corpo non fosse soggetto a scissioni,  stereotipie e alterazioni di funzionamento su cui bisogna intervenire (insieme alle stereotipie psichiche)  con ben determinate modalità che siano in grado di modificarle, e che non corrano il rischio di intensificarle. Terapie come il grido primario, la reintegrazione emotiva, la biodinamica,  l’eufonia,  il metodo  feldenkrais, i massaggi californiani,  il rolfing,  il rilassamento,  la danzaterapia,  la musicoterapia e così via,  rischiano di restare solo semplici  “tecniche”  sul  corporeo  e  non  un  processo  terapeutico  di  cambiamento,  se non si collegano ad una valida teorizzazione generale che ne indirizzi e ne convalidi l’impiego.

La psicoterapia corporea

Intervenire direttamente sul corpo in terapia ha messo in luce una serie di fenomeni e aspetti nuovi del funzionamento psicofisico che non erano stati osservati dagli altri approcci clinici. Si tratta di fenomeni forti e rilevanti, particolarmente significativi:   esplosioni  emozionali  di  grande  intensità; posture,  movimenti e toni di voce estremamente  “regressivi”; ritorni di percezioni  e  ricordi  arcaici;  stati  di  coscienza diversi  e  profondi;  riedizioni  benigne  di  antichi  sintomi; modificazioni  evidenti  delle  funzioni  fisiologiche  interne (temperatura,   frequenza   del   battito,   sudorazione,   soglie percettive,   tono  muscolare  di  base,   peristalsi,  processi ormonali); tremiti, formicolii e sensazioni strane ed intense. Tutto ciò ha messo sotto nuova luce le connessioni tra psichico e somatico,  ponendo la necessità di inquadrare tali fenomeni in una nuova prospettiva generale che ricollegasse i vari sistemi teorici parziali. Che  ci  siano  connessioni  tra  emozioni  e  malattie psicosomatiche, tra stress e sistema immunitario, tra depressione e  cancro,  sono  ipotesi  oramai  sufficientemente  fondate.  La possibilità che si dischiude è quella di avere nuovi contributi per la comprensione del  come ciò avvenga,  di quali  siano  i meccanismi e le strade. Le nuove prospettive funzionali aprono la strada alla conoscenza dell’intreccio e del  funzionamento di tutti i piani intermedi tra il mondo del “macro” (accessibile ad interventi di terapia o prevenzione dall’esterno) giù giù fino al “micro”, al biologico, al funzionamento dei neurotrasmettitori e del sistema immunologico,  fondamentali per la conservazione della salute e del benessere.