Luciano Rispoli psicologo: Aree teorico-tecniche della psicologia clinica.

in “Quaderni di Gestalt” n. 10-11 – Ragusa, Gennaio-Dicembre 1990 e “Acta” n. 1, Roma 1990.

La Società Italiana di Divisione di Psicologia clinica propone un progetto dal titolo “Aree teorico-tecniche della psicologia clinica e ordinamento della psicoterapia”.


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Premessa

Il presente documento contiene i pensieri e gli orientamenti attorno ad alcuni punti focali che i componenti il nuovo Comitato Esecutivo della Divisione Clinica intendono sviluppare nei prossimi tre anni. In questa fase iniziale è parso importante produrre idee e prendere posizioni che consentano l’apertura di un dialogo con i soci SIPs, ma anche con la comunità scientifica degli psicologi italiani interessati, come noi, ad un fertile sviluppo della psicologia clinica. Per consentire la divulgazione di quanto da noi elaborato, abbiamo chiesto accoglienza anche alle Riviste più diffuse in Italia, confidando che all’interno delle singole aree teorico-tecniche, e tra le diverse aree, si sviluppino approfondimenti e scambi. Rispetto a questo possibile movimento di idee la Divisione Clinica si pone come punto di riferimento. Ci auguriamo pertanto di ricevere contributi, in relazione al nostro documento, da parte di singoli specialisti, di scuole private di formazione, di docenti di dipartimenti e di scuole di specializzazione universitarie, di équipes di servizi pubblici. Gli elaborati saranno ripresi e utilizzati all’interno di apposite Giornate di studio e Convegni nazionali e regionali. Una buona opportunità di incontro e scambio tra psicologi clinici è rappresentata anche dal prossimo Convegno nazionale della SIPs (in progettazione) in cui sarà ritagliato uno spazio-tempo per pensare insieme.

Le riflessioni

A un anno dall’approvazione della Legge sull’Ordinamento della Professione dello Psicologo è possibile oggi guardare all’insieme degli eventi, dei movimenti, delle discussioni, delle posizioni che hanno riempito la scena del mondo scientifico e professionale, sia negli anni che hanno preceduto il difficile varo della legge, sia nel periodo immediatamente successivo. Al centro della scena, argomento dei discorsi più accesi e delle polemiche più aspre, vi è il tema cruciale della funzione psicoterapeutica dello psicologo, e non certo per puro caso.

Vediamone brevemente le ragioni.

Ad un primo livello la funzione terapeutica sembra rispondere alla “domanda di aiuto” di singoli, gruppi, istituzioni che, inseriti in una società sempre più complessa e tensiva sono sottoposti a stimoli difficili da integrare o con cui è divenuto più problematico interagire.

Ad un altro livello la funzione terapeutica sembra rispondere alla sempre maggiore “domanda di cura” di una società che ricerca il benessere non solo economico ma anche sociale e personale, segnalando un diverso rapporto con la sofferenza, ma anche con la cura. In questo contesto, inoltre, accanto ad un ampliamento della domanda abbiamo progressivamente assistito ad un ampliamento dell’offerta con un potenziamento di quella psicologica accanto alla medica tradizionale. Certamente la psicologia clinica non può e non deve identificarsi tout court con la pratica psicoterapeutica, possedendo orizzonti e contesti di ben più ampia portata: la posizione della Divisione Clinica della SIPs è stata a tal riguardo sempre esplicita e forte. Purtuttavia non bisogna dimenticare che anche le prime teorizzazioni cliniche sono nate come tensioni “curative” verso il disagio e il malessere. Il terreno della terapia, dunque, rimarrà a lungo uno dei temi fondamentali, in particolare della psicologia e della medicina, e quello della psicoterapia dovrà diventare, da teatro di scontro, momento di confronto e collaborazione, cosi come oggi già accade a volte, almeno a livelli periferici, in alcuni rami dei servizi sanitari o tra alcuni singoli professionisti. D’altra parte affinché l’impegno curativo sia fertile è importante anche che generi indicazioni utilizzabili a livello di prevenzione della salute fisica e psichica, favorendo la ricerca di modalità alternative di approccio ai concetti di salute e malattia che siano meno volti a patologizzare disagi fisici e psichici i quali possono rientrare nella normale difficoltà del vivere. Non possiamo non allinearci con l’interesse (che va oggi sempre più espandendosi) per una psicologia e una medicina della salute. Ma vorremmo a tal proposito accennare, se pur sinteticamente, alla crescente necessità di un’ottica multifocale che si muova comunque da un’idea centrale e conduttrice, al fine di poter affrontare in modo non paralizzante la complessità dei sistemi e degli organismi viventi e dell’uomo in particolare. Ci riferiamo all’acquisizione epistemologica più recente che richiede un quadro teorico di riferimento di tipo unitario, all’interno del quale però è indispensabile potersi spostare (attraverso strumenti adeguati) da un piano di specificità all’altro, consapevoli scientificamente dei limiti che ciascun piano presenta nella comprensione del fenomeno a tutto tondo, nella sua interezza. Così una teoria psicologico-clinica è fondamentalmente costituita da un filo rosso che conduce all’interno della struttura di personalità, fornendo delle ipotesi sul suo funzionamento. Ma al contempo, spostandoci da un livello di specificità ad un altro, sono le medesime ipotesi di base a trasfondersi e permeare anche un modello che dia ragione dello sviluppo evolutivo della mente e del comportamento durante l’infanzia, che fornisca una maniera di interpretare la rottura dell’equilibrio-salute e l’insorgere delle alterazioni e delle disfunzioni, nonché una presa di posizione sulle modalità di intervento curativo. In altri termini un modello clinico non può, a meno di scadere in mera tecnica empirica, non contenere al suo interno i nodi teorici essenziali che permettano di spostarsi a un parallelo modello evolutivo, a un paradigma dell’apprendimento e della formazione, a un modello eziopatogenetico, terapeutico, antropologico, sociale. A tal proposito un’altra motivazione dell’interesse che riveste il problema “psicoterapia”, oltre a quelle evidenti dell’urgenza con cui esso si pone nell’attuale momento storico e scientifico, anche riguardo al riconoscimento formale della pratica e soprattutto della formazione in psicoterapia, è la seguente. A livello storico lo sviluppo della psicologia clinica e della psicoterapia è stato caratterizzato dal fiorire di modelli e teorie differenti relativi alla struttura di personalità, alla patologia e alla cura delle sue alterazioni. Il procedimento clinico è quello dell’osservazione e dello studio del singolo caso all’interno del processo di relazione con l’osservatore, della situazione particolare nel suo evolversi sul campo o in laboratori protetti (il setting). Ciò non ha impedito il naturale sbocco (che è poi quello di ogni processo scientifico) in metateorie generali, che possano comunque avvalersi di proposizioni validabili al di là del singolo, particolare evento relazionale (anche se la validazione in psicologia clinica rimane un grosso problema). Questa precipua commistione tra elementi soggettivi e oggettivi del campo clinico ha finito per produrre molteplici quadri di riferimento teorico, che per un certo tempo si sono distanziati in linguaggi, settings, procedure e impostazioni epistemologiche separate. Successivamente, una certa “corsa” all’accaparramento dell’utenza (per la psicoterapia o per la formazione) si è innestata su questa condizione preesistente, amplificandola e aggravandola nel senso di una vera e propria frammentazione, che ha raggiunto i livelli parossistici di un panorama di oltre 800 tra Scuole e Istituti. Negli ultimi tempi un modello del tutto nuovo poteva essere “inventato” dall’oggi al domani miscelando arbitrariamente elementi presi da più parti. Se questo è stato l’effetto negativo, dilatatosi negli anni in cui la legge è stata annunciata ma non giungeva ancora alla luce, dall’altra parte non si può negare che questo movimento abbia accelerato anche una spinta ad una riflessione interna e ad un dialogo tra approcci clinici differenti, (in particolare all’interno della nostra Divisione, nelle istituzioni in cui più modelli si trovano a convivere e in sede di Convegni nazionali e   internazionali); dialogo che fino a qualche anno fa era ancora difficile e stentato. Certo siamo ancora agli inizi di questo processo complesso e articolato, ma le prospettive che si aprono, in termini di aumento delle conoscenze e sistematizzazione storicistica del susseguirsi dei vari modelli clinici, sono indubbiamente di grande interesse. Pertanto un sistema scientifico che studia l’uomo, la sua psiche, il suo comportamento, il suo ambiente di riferimento, il sistema familiare in cui è inserito ha visto fiorire molteplici indirizzi teorici con una  ricchezza di posizioni, di idee e di ipotesi creative. Ma a differenza della filosofia, la psicologia clinica ha sempre dovuto fare i conti con la necessità pragmatica di intervenire, modificare e misurarsi con i risultati. E questo ha spinto a riflettere profondamente sul fatto che non fosse sufficiente creare idee, ma che queste idee dovevano essere in qualche misura supportate da un ritorno operativo. Da qui dunque scaturisce l’evidente constatazione che, nonostante l’esistenza di centinaia di strutture psicoterapeutiche in Italia, non è possibile ne sufficiente parlare solo di tecniche, ma bisogna ritornare anche ai sistemi teorici generali, che certamente non sono altrettanto numerosi. Un dato interessante è emerso dall’inchiesta che la Divisione di Psicologia Clinica ha realizzato gli scorsi anni sull’ “arcipelago” degli psicoterapeuti in Italia: per la maggioranza degli psicologi clinici la formazione si è svolta all’interno almeno di due modelli differenti, evidenziando l’insostenibilità o l’inadeguatezza di una separazione totale tra differenti approcci clinici. Alla luce del dibattito attuale, dunque, si è andata sempre più rafforzando l’idea dell’esistenza di alcune fondamentali grande aree teorico-tecniche della psicologia clinica, al di là delle differenze di correnti, di stili personali e di proposizioni o paradigmi secondari all’interno dei modelli fondamentali. D’altra parte la riflessione, epistemologica e storica al contempo, sull’evoluzione dei modelli della psicoterapia, può aiutarci a comprendere quali siano queste differenti concezioni, e come in effetti si siano sviluppate l’una dall’altra, in una evidente continuità della ricerca e del dibattito, che poteva essere contrappositivo su taluni assunti di base, ma con posizioni non del tutto incongruenti. Un altro elemento, altamente significativo, scaturisce dalla riflessione epistemologica sull’insieme dei modelli teorici. Ciascuno di essi non può considerarsi un impianto del tutto separato e a sé stante, e tantomeno esaustivo relativamente all’inquadramento teorico della struttura della personalità, e del funzionamento sociale. Non si tratta di impostazioni interscambiabili ciascuna delle quali applicabile all’intero campo, ne di sistemi che interpretano esattamente i medesimi fenomeni e quindi alternativi l’uno all’altro. Siamo piuttosto in presenza di approfondimenti di aspetti parziali della personalità e dei fenomeni di relazione. Possiamo dire che nel corso del procedere della teorizzazione i clinici del settore volta a volta hanno focalizzato particolari aspetti dello psichismo umano e questi aspetti hanno studiato, illuminato e interpretato con ipotesi specifiche e specifici concetti. Cosicché siamo di fronte non già ad un decina di teorie e tecniche separate e contrapposte, ma ad una decina di ottiche differenti, che, pur avendo centrato la loro ricerca su zone differenti del campo clinico, finiscono col realizzare delle inevitabili sovrapposizioni di alcune parti periferiche (evocando l’immagine di tanti cerchi contigui che in alcuni punti si intersecano). Da qui scaturisce l’interesse a che tutte queste aree teoriche si sviluppino esplicitando sempre più chiaramente gli elementi centrali del proprio impianto teorico-tecnico e ricercando anche i punti di intersezione e scambio con altre aree: dalla psicoanalisi delle pulsioni a quella delle relazioni oggettuali; dal modello relazionale-sistemico a quello gestaltico; dalla gruppoanalisi alla psicosomatica e alla psicoterapia corporea; dal comportamentismo al cognitivismo; dall’analisi transazionale alla terapia funzionale.

Il progetto

Il progetto che in tal senso si propone allora la Divisione di Psicologia Clinica, nel prosieguo della sua attività, può essere riassunto e specificato in una serie di differenti momenti operativi, e a vari livelli, che qui riassumiamo.

1) Stimolare una ricerca e uno studio specifico e dettagliato sul rilevamento e sulla delimitazione delle grandi aree della clinica, attraverso le formulazioni teoriche di base e i principi applicativi, visti in relazione alla nascita, allo sviluppo e alle alterazioni dei processi psicofisici e sociali dell’uomo.

2) Incrementare i processi di scambio e di intersezione tra i differenti approcci clinici, quale base essenziale per un linguaggio comune fra gli specialisti e per intraprendere strade di ricerca nuove e fattive.

3) Favorire la pluralità della presenza delle differenti aree teoriche all’interno dei processi formativi, e in particolare:

  1. a) come informazione indispensabile per la conoscenza e per l’orientamento, a livello dei corsi formativi di base (in particolare Medicina e Psicologia);
  2. b) come acquisizione    tecnica   nelle   Scuole   di Specializzazione universitario post-laurea;
  3. c) come confronto con altri modelli nelle varie Scuole di formazione in psicoterapia;
  4. d) come presenza multidisciplinare e multifocale nei Servizi territoriali.

4) Avviare un dibattito culturale, scientifico all’interno della singola area teorica di riferimento, affinché l’intera area, anziché i singoli centri e istituti che ad essa si ispirano, si costituisca come polo di riferimento complessivo per la istituzione di strutture formative nel settore, a livello nazionale. La proposta è quella di demandare all’intera area sia il dibattito sugli standards formativi, sia l’organizzazione delle Scuole di formazione (in collegamento con l’Università e con i Servizi territoriali) con il contributo di docenti, esperienze e conoscenze di tutti i centri e istituti che nel settore siano altamente qualificati. E’ in tale senso che viene anche recepita la formulazione dell’art. 3 delle legge; come momento, cioè, che sancisce da una parte l’indispensabilità di un impianto di tipo  “universitario”, e quindi dello studio e della ricerca, all’interno delle Scuole di formazione private, e dall’altro l’importanza dell’esposizione personale, e insieme degli approfondimenti e dei contributi che vengono direttamente dalle varie aree della psicoterapia.

5) Nell’ambito della specificazione e dell’interpretazione di taluni controversi elementi della legge sullo psicologo, la Divisione Clinica ritiene particolarmente importante e delicata la fase di applicazione dell’art. 35 come impostazione generale relativa alla formazione in psicoterapia. Si ritiene significativo a tal fine puntare su un concetto qualificante di base e cioè che nella valutazione per il riconoscimento della funzione psicoterapeutica vengano preferiti criteri legati al livello qualitativo, relativi cioè ad una formazione specifica effettivamente svolta. Un altro rischio consisterebbe nell’identificare tout court l’operatività con i complessi processi di formazione, che necessitano invece assolutamente di tutte le seguenti fasi: attraversamento e trasformazione inferiore, studio e acquisizione delle metodologie, tirocini guidati. Ed è perciò che dei cinque anni minimi che la legge prevede dopo la laurea per l’art. 35, dovrebbe essere richiesto come requisito imprescindibile la presenza di un processo formativo (non importa se svolto in Scuole di formazione private,  in Università o nei Servizi territoriali) completo nel senso di cui sopra, e della durata di almeno 4 anni.

6) La Divisione Clinica intende sviluppare il Progetto “aree teorico-tecniche della psicologia clinica e ordinamento della Psicoterapia” attraverso iniziative diverse che si articoleranno nei tre anni di incarico possibilmente in maniera integrata coi gruppi clinici regionali.

Crediamo che da questo scritto si possa comprendere che si prevede un aperto e proficuo momento interlocutorio con le scuole e gli istituti che in Italia si occupano della formazione in psicoterapia, senza sconfinare in un atteggiamento o intenzionalità benché minime di riconoscimento o di validazione della singola struttura. Lo scopo è invece, come del resto pensiamo si evinca già da altri passi di questo documento programmatico, quello di sollecitare l’intera area teorica ad una esplicitazione delle proprie radici culturali e scientifiche, dei modelli clinici di riferimento, delle connessioni utilizzate tra teoria clinica e formazione, delle metodologie adoperate sia in campo terapeutico che formativo. Un forte dibattito a livello nazionale potrebbe consentire infatti di utilizzare in pieno le esperienze e i livelli qualitativi degli istituti formativi (grandi o piccoli che siano nelle loro dimensioni strutturali, purché scientificamente validi nell’attività di ricerca e negli standards  raggiunti), al fine di puntare al rialzo e non ad un appiattimento delle realizzazioni teoriche e applicative della psicologia clinica e della psicoterapia nel nostro paese.