in “SIPs News” n. 11, gennaio 1994.
Luciano Rispoli, delegato Nazionale SIPs Clinica.
Il 19 Marzo si è tenuta a Milano, a cura della Divisione Clinica della SIPs, una giornata di studio sul tema: “Processi di sviluppo della Psicologia Clinica e della Psicoterapia: prospettive future” nella quale si è costituita la Società Italiana di Psicologia Clinica e Psicoterapia affiliata alla SIPs, e si è presentato e dibattuto il programma scientifico, culturale ed organizzativo della nuova Società.
Si tratta di un progetto complessivo, scandito in fasi e tappe successive (già per altro in via di sviluppo), volto ad analizzare in che misura i contributi di altri rami della psicologia e di altre discipline scientifiche stanno mutando i costrutti delle grande teorie di base, come si stanno organizzando le nuove conoscenze sul funzionamento delle persone, sulla loro interrelazione e sul loro rapporto con l’ambiente, in che senso si stanno avvicinando tra di loro i vari approcci terapeutici.
Oggi la psicologia clinica ha un compito da svolgere di estrema importanza, per rispondere sia a chi la vuole confinare nelle strettoie del solo intervento curativo dei disturbi psichici, sia a chi la vuole screditare come tecnica terapeutica attraverso i nuovi attacchi della psichiatria organicistica. Per quanto riguarda il primo versante, possiamo rispondere che la psicologia clinica deve poter occupare pienamente quegli ampi spazi operativi e applicativi che in fondo proprio da essa discendono (lo sviluppo, il funzionamento e l’alterarsi degli equilibri psicofisici degli esseri umani). Bisogna che sia messo sempre di più l’accento sulla prevenzione primaria e secondaria, anziché sulla cura; la psicologia clinica può e deve dire molto nel campo della psicologia della salute, dello sviluppo della qualità della vita e del potenziamento personale. La psicologia clinica può dare un contributo essenziale alla comprensione e alla facilitazione sia dei processi evolutivi che di quelli formativi. Per quanto riguarda il secondo punto, la psicologia clinica non potrà non accettare la sfida della scientificità, pur conservando la sua specificità di scienza della relazione e non da laboratorio, e le sue peculiari metodologie. Bisogna esplicitare costrutti teorici, tecniche, scelte adoperate; mettere in chiaro che cosa accade in una relazione terapeutica o in una relazione d’aiuto, analizzare a fondo i processi, arrivare a comprendere cosa si può fare per rendere più efficaci e stabili i risultati. E’ necessario mettere a punto corrette metodologie di verifica degli effetti, per uscire dall’atmosfera stagnante dell’indicibile e del confuso.
Il diritto a “star bene”, il bisogno di qualità della vita, la consapevolezza di dover combattere i malesseri “sociali” e le conseguenze dello stress, si stanno diffondendo e generalizzando. E a queste così profonde e vitali esigenze, di una società che, sia pur faticosamente, sta tentando di maturare, non si può dare risposta né con la psicologia spicciola di miriadi di rubriche che appaiono in numero crescente su riviste, giornali e rubriche televisive, nè con promesse miracolistiche, nè con arroccamenti negli impianti terapeutici tradizionali, nè tanto meno con tecniche arraffazzonate, praticismi arruffoni, modelli a effetto, fumosità inconsistenti. E’ la psicologia clinica tutta che deve poter dare risposte complessive e articolate, in qualità di scienza ad alto profilo, respingendo le accuse di non scientificità. La psicologia clinica deve poter utilizzare in pieno l’intero ampio spettro di modelli e di teorie che ne fanno parte, (non si può più accettare che a livello dei media e di conoscenze diffuse sia ancora così spesso identificata con solo alcune delle sue parti), e deve affrontare, a partire dalla ricchezza dei contributi esistenti e con un aperto dialogo pluralista, una ricerca sistematica a largo spettro, un processo di ampio rinnovamento, che la porti ad essere in grado di rispondere alle nuove esigenze e alle nuove connotazioni sociali.