in “Anima e corpo” n.6, autunno 1997
Nell’articolo riportato di seguito Luciano Rispoli, psicoterapeuta, fondatore e presidente della SIF (Società Italiana di Psicoterapia Funzionale), partendo dalle teorie di Wilhelm Reich, propone il pensiero della psicologia Funzionale, spingendosi verso una nuova epistemiologia che prevede un’ottica di tipo multidimesionale; proponendo, inoltre, nella pratica clinica, di considerare la persona nella sua interezza mente-corpo.
Wilhelm Reich
Quando nell’ormai lontano ma mitico Sessantotto mi accostai per la prima volta agli scritti di Wilhelm Reich non sapevo ancora quanto sarebbe cambiata la mia vita. Ero un giovane studente avviato verso una carriera di ingegnere e invece, rimasi talmente affascinato dal mondo che mi si dischiudeva davanti che non potei fare a meno di avventurarmi e di immergermi in esso e di rimanervi con una passione mai diminuita fino ad oggi. Dei molteplici aspetti che mi fecero innamorare di Reich e delle sue teorie, tre essenzialmente ritengo ancor oggi fondamentali per qualunque approccio che cerchi di penetrare a fondo la complessità del funzionamento degli esseri umani:
- La scieritificità. Reich si preoccupava di verificare passo passo le proprie intuizioni e le proprie scoperte. Egli aveva ampie visioni rispetto ai fenomeni di cui si interessava, spaziava in molti campi del sapere; ma cercava sempre le strade lunghe e pazienti dell’indagine e della verifica.
- La relazione mente-corpo. Estremamente promettenti e nuove al contempo erano le sue ipotesi sull’importanza del rapporto mente-corpo. Si aprivano davanti un territorio inesplorato e una frontiera pieni di fascino. Il concetto di identità funzionale tra psiche e soma è stato grandemente fecondo ed è ancora oggi di estrema attualità. Da quelle prime intuizioni ha preso avvio un processo a valanga che ha rivoluzionato e sta ancora rivoluzionando una parte della scienza; sono nati paradigmi nuovi di lettura dei sistemi complessi, nuove metodologie, un contributo significativo a una nuova epistemologia.
- il sociale. Il costante e continuo collegamento con il sociale.
Il pensiero funzionale
Erano gli anni Venti quando Wilhelm Reich proponeva le prime ipotesi sull’esistenza di interconnessioni profonde e complesse tra lo psichico e il somatico e sulla necessità in psicoterapia di intervenire anche sul versante corporeo. Reich fu tra coloro che posero le basi di una nuova teoria corpomente. Il suo concetto di identità funzionale tra psiche e soma apre alla grande scoperta che nel corpo è scritta tutta la storia delle nostre emozioni e dello sviluppo della nostra vita, sin da quando nasciamo. Da lì si è sviluppato tutto il grande filone della psicoterapia corporea, delle sue tecniche e delle sue metodologie, di interventi che non fossero solo psicologici, solo verbali.
Molta strada è stata percorsa da allora. All’interno di questo vasto fermento di ricerche e sperimentazioni l’utilizzo di un approccio funzionale ha man mano delìneato ed evidenziato un nuovo filone, una nuova frontiera della scienza, un modo complesso di leggere il funzionamento degli esseri umani e della loro interazione. La Psicologia Funzionale, muovendosi in questa direzione, si è sviluppata tentando di affrofltare il paradigma della complessità e di andare oltre le formulazioni e le ottiche tradizionali. Si trattava di una ipotesi iniziale di teoria complessiva del Sé, un primo tentativo di superare le limitazioni dei vari approcci cImici, verso la costruzione di una teoria integrata e unitaria (ma non semplicistica della personalità e della psicoterapia). Primo passo è stato il superare concetti troppo generici e vaghi, come quelli di corpo e di mente, per arrivare a parlare, all’interno della ipotiizata unitarietà corpo-mente, di processi psicocorporei, scendendo dettagliatamente su tutte le funzioni che costituiscono il Sé: dai ricordi alla razionalità, dal simbolico alle fantasie, dalle posture ai movimenti, dalle emozioni alle forme del corpo, dal sistema neurovegetativo alle percezioni.
La Psicologia Funzionale ritiene importante guardare alla persona nella sua unitarietà, e nello stesso tempo nella sua complessità, nella sua concretezza e pluralita di piani e livelli su cui operare. Si tratta di sviluppare un concetto di «olismo» che non sia vago ma estremamente ricco e circostanziato. Il Sé può essere definito funzionalmente come l’organizzazione di tutti i piani psicocorporei, come l’insieme delle leggi che regolano l’interazione tra tutti i processi e i piani dell’organismo visto nella sua interezza e globalità. Ma il punto di vista funzionale (che in fondo si ricollega per certi aspetti al primo funzionalismo di Dewey e di James ancora sorprendentemente attuale) ha scoperto le sue grandi potenzialità nel potersi applicare con successo a molti ambiti, a tutti gli insiemi complessi e dinamici che costituiscono la realtà sociale: famiglie, gruppi, équipe, sistemi, e persino città.
Verso una nuova epistemologia
I modelli non olistici, basati sulla divisione in parti, nonostante siano piu avanzati di un tempo, oggi mostrano di non essere più completamente sufficienti per affrontare i nodi della dinamicità e della complessità. Una struttura complessa non può essere considerata come somma di parti definite: le parti rimandano a una suddivisione spaziale, territoriale, che non permette di capire il funzionamento dell’insieme. Le parti devono essere invece sostituite da quel qualcosa che le collega, altrimenti si corre il rischio di perdere l’insieme e di cadere appunto nella parcellizzazione, uno dei mali della scienza passata. Una logica delle parti non riesce a includere al suo interno la visione dell’organizzazione del sistema e le parti finiscono per venire considerate l’una in alternativa o addirittura in contrapposizione alle altre.
Dunque siamo in pieno cammino verso nuove ottiche di tipo multidimensionale, verso modalità differenti di guardare la realtà complessa dell’uomo e delle sue interazioni sociali. Sono passati cento anni dalla nascita di Wilhelm Reich: qualcosa di significativo ha avuto origine con il suo pensiero proprio in questa direzione. Un qualcosa che, certo, ha avuto uno sviluppo successivo fino ad arrivare alla nuova frontiera del pensiero funzionale (con il suo contributo specifico sui temi della complessità), ma che ha pur sempre germogliato da quel primo pensiero fecondo.
La clinica
La terapia è stato il primo campo di applicazione di una visione che non poteva più escludere il corpo e l’interezza della persona. Si comunica molto più con il corpo che con le parole. Ma il punto è che il corpo comunica profondamente non solo con gli altri ma anche e soprattutto con la persona stessa, inviandole un flusso continuo di sensazioni molto spesso inconsapevoli. Questo spiega la presenza di ansia, angoscia, rabbia o melanconia anche se non vi sono elementi e- sterni che giustifichino tali stati d’animo negativi, nè pensieri che vanno in questa direzione. Nel corpo, o meglio nelle varie funzioni psicocorporee, troviamo tracce attive di antiche vicende relazionali: desideri frustrati, slanci bloccati, paure non contenute, rabbie compresse. Tutto questo non è più un mistero. Oggi sappiamo che esiste una memoria periferica che cons rva queste tracce sotto forma di alterazioni di funzioni psicocorporee: tono muscolare di base, soglie percettive, movimenti abitudinari e stereotipati, posture cristallizzate. Si spiegano così il permanere di vecchi meccanismi durante la crescita fino all’età adulta, il perché le persone finiscano per avere comportamenti ripetitivi non adeguati alla realtà esterna, come mai vecchi fantasmi continuino a prendere il sopravvento sulle sensazioni reali dell’oggi. Si crea come un filtro attraverso il quale la persona percepisce la realtà, un filtro che crea sempre la stessa coloritura e deforma sempre allo stesso modo. Il filtro è appunto l’organizzazione alterata di tutte le funzioni psicocorporee, la forma che queste hanno assunto nel tempo, ciò che definiamo il «Sé: la globalità di una persona, qualcosa che va molto al di là della parte cosciente e volontaria. Possiamo dunque parlare di funzioni psicocorporee: posture, modalità di movimenti, forma delle parti del corpo; ma anche attivazione fisiologica, apparati di regolazione interni (termoregolazione, neurovegetativo, e giù via via fino ai sistemi biologici più profondi legati alle cellule), percezioni, tono muscolare di base; senza trascurare i piani simbolici, quelli cognitivi, i ricordi, l’immaginazione, la progettualità; e infine tutta la gamma delle emozioni e dei sentimenti, quelli espressi, quelli soffocati, quelli trattenuti, quelli esasperati. Tutte queste funzioni concorrono in maniera paritetica all’organizzazione della personalità. La loro integrazione, lo sviluppo armonico delle une rispetto alle altre, la loro piena e ampia mobilità costituisce lo stato di salute e di benessere della persona. Il loro alterarsi, l’ipertrofia di alcune di esse a discapito di altre, la limitazione delle loro gamme, la mancanza di mobilità, le stereotipie costituiscono un’alterazione complessiva del Sé e uno stato di patologia che sfocia in sintomi e disturbi di vario tipo. È dunque l’intero organismo che si ammala. La conoscenza di tutto ciò aiuta a migliorare gli interventi curativi: permette di fare progetti calibrati esattamente sulla persona, di individuare le strade e i metodi più adatti a riequilibrare il Sé, a riconnettere tra di loro emozioni e movimenti. toni di voce adeguati, espressioni del viso congruenti, attivazioni fisiologiche più adatte, sensazioni corrispondenti. Le emozioni troppo sviluppate si ridimensionano, le fantasie angosciose si riconnettono con le dimensioni reali del pericolo, i ricordi si aprono anche su elementi positivi, I funzionamenti diventano morbidi e mobili, passando facilmente dalla rabbia alla tenerezza, dal dolore alla gioia, dall’agitazione alla calma, dalla concentrazione all’allentamento.