in “Morire di traffico”- Ed. Sintesi, Napoli, 1988.
Luciano Rispoli, Presidente Centro Studi W. Reich, Delegato regionale Società Italiana Psicologia, allarma rispetto ad una realtà percettivamente ristretta e distorta per i bambini durante gli anni della loro formazione interna, in cui la limitazione della propria mobilità crea profonde fratture psichiche e irrigidimenti caratteriali.
L’organismo umano è un complesso sistema di funzioni bio-psichiche che sin dalla nascita, anzi già nel grembo materno, sono in stretta e inscindibile connessione con quanto compone e caratterizza l’ambiente circostante. Studi recenti sugli ecosistemi hanno rilevato, molto al di là di quanto ci si aspettasse, che gli esseri viventi sono legati da catene biologiche in equilibrio delicato e che modificazioni, anche piccole, in un suo anello si ripercuotono su tutta la catena. Gli ecosistemi hanno sì un grado di elasticità che permette loro di riequilibrarsi nell’assorbire variazioni al proprio interno; ma in che modo riescono a reagire quando una variabile si trasforma esageratamente o letteralmente impazzisce? Quando si introducono cambiamenti massicci e incontrollati? Forse abbiamo appena iniziato a valutare quanto l’elemento “automobile” sia stato un agente trasformatore nel nostro ecosistema e nella nostra vita; dobbiamo ancora soppesare pienamente come l’ecosistema ha reagito e sta reagendo. Il traffico nelle città, poi, costituisce un attacco ulteriore e particolare agli equilibri biopsichici della società umana, una vera catastrofe, tutto sommato abbastanza recente rispetto alla intera storia dell’automobile, e perciò ancor meno conosciuta. Morire di traffico, dunque, non è soltanto un modo di dire o un’espressione colorita post-romantica da telenovela popolare. Morire di traffico è una brutta impazzita variabile dello sviluppo industriale, ancor più drammatica in una città come Napoli martoriata da cemento e palazzi della speculazione edilizia, dove i vicoli non sono solo quelli del centro storico ma la norma di tanti quartieri-alveare. La micidialità è molteplice, e colpisce l’uomo su tutti i piani attraverso i quali si articola la sua esistenza e si estrinsecano i suoi processi vitali. Proviamo a guardare insieme ai pericoli eclatanti e a quelli meno evidenti, alle Conseguenze del traffico sul versante psichico in Connessione con quello biologico. Uno degli aspetti più evidenti della micidialità é quello della tossicità dei gas di scarico dei motori. La Scienza conosce molto bene e da molto tempo il grado estremamente grave di pericolosità di questi gas. Eppure, solo adesso si sta facendo qualche piccolo passo, e solo in pochi paesi del mondo. In Italia non é possibile difendersi neppure dal velenosissimo piombo tetraetile il mezzo più assurdo e dannoso che si potesse trovare per far “detonare” meglio la benzina a poco prezzo e far rendere un po’ più in velocità i motori delle auto. In Italia pompe di benzina senza piombo cominciano a vedersi, ma sono solo per auto e motori stranieri. Il livello di intossicazione é sotto gli occhi di tutti: le pareti nere delle gallerie tra Mergellina e Fuorigrotta parlano chiaro. Ma c’é un’esperienza ancor più traumatizzante perché ci rivela quanto l’organismo é intossicato dal veleno; ed é quando si va in vacanza in una località in cui l’aria é abbastanza pulita. Ebbene avrete notato i disturbi dei primi giorni, i malesseri (sonnolenza, giramenti di testa, disfunzioni digestive) che il nostro corpo accusa per improvvisa “mancanza” di veleno, come una vera e propria crisi di astinenza, o meglio per un aumento di aria e di ossigeno, per un incremento della quantità e qualità della respirazione, a cui il nostro organismo non é più abituato. E certo non può sfuggire nemmeno il greve odore, addirittura asfissiante, la sensazione oppressiva di mancanza d’aria, appena si ritorni in città da un’ossigenazione al mare o in montagna. Nelle tecniche di intervento della Vegetoterapia e della Psicoterapia corporea, la respirazione ha un posto centrale, nel tentativo di riequilibrare il funzionamento di una persona “ammalata”. E’ importante, naturalmente, che cosa respiriamo, ma non é solo una questione chimica di assorbimento di veleni: la respirazione é anche una profonda modalità per sentire di più o di meno il contatto con se stessi. Diminuiscono emozioni e percezioni in un tentativo di non “sentire” se la si trattiene, la si blocca o la si diminuisce; oppure si può amplificare il livello di “presenza sensoriale” lasciandola fluire profondamente. Il traffico colpisce anche qui, non solo occludendo il respiro con i residui catramosi, ma inducendo nell’atteggiamento psicosomatico di tutto l’individuo una chiusura di se stesso, un abbassamento degli scambi comunicativi, fin quando non si raggiungono e si superano i limiti dell’ esplosione emotiva.
Di questo genere sono i pericoli forse meno conosciuti del traffico e dello straripare di auto sulle strade, sui marciapiedi, in ogni angolo della città. Approfondiamone alcuni.
1) E’ ormai irreversibile, ad esempio, una percezione alterata dello spazio e del movimento. Si procede spesso lenti e incolonnati, con una visuale dall’interno della vettura che cambia poco, fatta di auto e di palazzi e di bombardanti messaggi dai manifesti murali, senza spazi, cielo, luminosità.
Ma anche per i pedoni, al di là del pericolo di investimenti, la percezione di sé nella città é condizionata. Si cammina in uno spazio che non é più proprio, scansando, circumnavigando, cercando varchi sopra e fuori dal marciapiede. Ciò finisce per minacciare gravemente la nostra mobilità percettiva, limitandone le potenzialità. L’immaginazione del movimento si stacca sempre di più dal movimento stesso; lo spazio, dal muoversi nello spazio. La gamma percettiva e motoria si restringe e restringe le strategie di comportamento, ne taglia fuori una parte sempre maggiore.
2) La distorsione é spaziale e temporale al tempo stesso.
L’automobilista è isolato, nel confine della macchina-territorio al di là del quale tutti gli altri sono potenziali nemici. Egli è solo contro tutti, poiché gli altri sono presenze indistinte “fuori”; non sono persone poiché, non è possibile guardarle da vicino, coglierne gesti ed espressioni, toccarle e capirle. C’è una mancanza di contatto nello spazio-automobile, spesso aumentata da un isolamento acustico che gli stereo a tutto volume (non a caso) creano intorno a se. Questa carenza di percezioni vitali che arrivino dall’esterno, l’isolamento visivo, tattile, acustico nei confronti del mondo che è fuori finiscono per alterare anche il senso temporale del qui ed ora. Non si è realmente presenti in quel momento, si pensa sempre di più a ciò che si deve fare dopo, odiando quanto ci è di ostacolo nel raggiungerlo, odiando questo traffico che ci blocca in un qui ed ora impossibile e inaccettabile. Le percezioni sono ancor più soffocate e la mancanza di contatto si approfondisce, in una spirale vorticosa e senza fine.
3) Anche le emozioni subiscono un’alterazione pericolosa, poiché viene squilibrato artificialmente il rapporto tra aspetti aggressivi e aspetti teneri. L’aggressività diviene una risposta quasi continuativa in una condizione che è di allarme e di difesa senza sosta. La necessità di incollerirsi rappresenta l’unica alternativa ad un distacco emotivo e ad una scissione profonda tra realtà percettiva esterna e mondo affettivo.
La prima strada porta ad una collera che noi definiamo pervasiva, cioè che finisce per “invadere” la persona in tutte le sue manifestazioni, pronta ad innescarsi a segnali anche minimi, assolutamente sproporzionata alla realtà. La pervasività non si limita alla sola situazione del traffico, ma dilaga in ogni momento della vita, e noi sappiamo che un’emozione così alterata può assumere un carattere indipendente, sconnettendosi dagli altri processi funzionali del sistema biopsichico dell’uomo (o del Sè corporeo), e continuando a sussistere incapsulata nella struttura del corpo. La seconda alternativa è invece pericolosamente vicina a quell’approfondirsi di scissioni, a quell’intensificarsi di fratture interne, che conducono sulla china drammatica di gravi disturbi psichici.
4) E’ il Sé corporeo nella sua complessità, inoltre, a subire profonde trasformazioni. L’automobile assume il carattere di una vera e propria espansione artificiale del Sé, una “protesi vivente” che deve perciò essere più potente, più originale, più appariscente possibile.
I telefilms americani sono pieni di supercars. di congegni impossibili, di mezzi superpotenti, in una compensazione solo immaginativa al senso di profonda impotenza che il traffico induce. La sconnessione tra fantasie di un Sé onnipotente e consapevolezza delle reali capacità può approfondirsi sino ad attribuire alla macchina tutto quello che non si è e non si riesce ad essere, non esclusa un’immagine di furia distruttiva e omicida. E’ la macchina, che uccide (ed uccide!) così come sono gli aerei a seminare morte con le bombe, non i piloti.
5) La trasgressione alle norme diviene allora un comportamento quasi “necessario”, una base su cui poter ripercepire la propria esistenza come individui, per di più rinforzata, in particolare a Napoli, da un carosello di variazioni di sensi unici, divieti, zone blu, corsie preferenziali che gli stessi vigili urbani modificano addirittura sul momento.
La trasgressione é la compensazione attiva all’impotenza così come l’auto potente lo è sul piano delle fantasie del Sé. Nel traffico l’unica “attività” può essere quella di trasgredire odi infuriarsi con gli altri, dal momento che la sensazione di base è l’impossibilità a “muovere” le condizioni esterne, vale a dire un’angoscia simile a quella del bambino, quando gli viene impedito di reagire e di modificare le situazioni che lo implicano.
6) Lo stress non è dunque solo uno scatenarsi dell’ansia. I più recenti studi mostrano l’esistenza di varie componenti dello stress, alcune delle quali in particolare, oramai divenute interne all’organismo, sono dovute ad alterazioni e disfunzioni già in atto. Lo stress è essenzialmente un disorganizzarsi delle funzioni bio-psichiche, dell’integrazione e della connessione esistenti originariamente tra i vari processi del Sé corporeo. Alcune parti del Sé si ipertrofizzano, altre si cristallizzano, comportamenti stereotipati vengono incapsulati nel soma, zone emotive si oscurano e rimangono tagliate fuori, funzioni fisiologiche e vegetative si scompensano.
Ma se noi adulti ci ammaliamo di piombo e di stress, i bambini sono ancora più colpiti di noi. Respirano il veleno direttamente emesso dagli scarichi all’altezza del loro viso. Vivono in prima persona una realtà percettivamente ristretta e distorta proprio negli anni della loro formazione interna, in cui la limitazione della propria mobilità crea profonde fratture psichiche e irrigidimenti caratteriali. Così corpo e pensiero sperimentano la gabbia delle auto sia dall’interno, sia nel senso di essere circondati e assediati. Il rumore di sottofondo è quello dei motori e dei clacson, in un caos acustico che chiude la capacità di contatto e rende difficile percepire toni e sfumature di voci e rumori variegati della natura. Il controllo deve essere costante e insopprimibile per un pericolo che non giunge saltuario, ma che invece è endemicamente presente. Realizzare desideri è legato ai tempi di attraversamento di zone della città: amici, palestre, piscine, sono al di là di un pantano di traffico e una palude del tempo. Il traffico dunque uccide mobilità e motilità, e uccide lentamente, ingoiando, oltre ai nostri soldi, sorrisi oggi sempre più rari, e un tempo sempre più mutilato e sempre più fuggitivo.