in Riza Psicosomatica n 103, 1989.
Luciano Rispoli nato a Napoli nel 1946 è specializzato in Psicologia. Dal 1975 è Presidente e Analista Didatta della SI. V. (Società Italiana di Vegetoterapia e Psicoterapia corporea). Nel 1988 fonda la Società Italiana di Psicoterapia Funzionale e corporea (S.I.F.) di cui è Presidente.
L’orgone: una particella di energia allo stato libero, presente come base nell’Universo, espressione di una fusione completa con il “tutto”. Il gene: ciò che controlla le “forme” e ci rende unici e separati dal mondo.
Due realtà inconciliabili?
Numerose e ricche sono le suggestioni che il tema della manipolazione genetica suscita nell’uomo, nello studioso, nel ricercatore, nello psicoterapeuta reichiano. Ma parlando di Reich e del gene, e cioè dell’unità più piccola di programmazione della vita, non ci possono non venire in mente quelle altre forme da lui studiate, gli elementi più piccoli e primari di organizzazione della vita o dell’energia vitale: i bioni e gli orgoni. I bioni erano per Reich primordiali vescicole piene di energia che si organizzano, aggregandosi, in forme elementari viventi, quali i protozoi. Nei bioni l’energia è come catturata e costretta in un involucro iniziale, mentre l’orgone è l’energia allo stato libero, un movimento di particelle che produce radiazioni termiche e luminose, presente come base nell’Universo intero.
Fluidità e stasi
Ciò che colpisce in questo genere di studi è innanzitutto la presenza di una ricerca un po’ affannosa, tenace e in certo senso disperata degli esseri umani nei confronti dell’elemento primo, del principio motore, dell’unità infinitamente
piccola che non si può più scomporre. Anche negli studi di fisica sull’atomo, nella scoperta dei quark, in fondo si ritrova lo stesso tentativo di ricondurre tutto a una stabilità rassicurante, a un qualcosa che non si muova e non si suddivida ulteriormente e perciò non possa più sfuggire. Qui si contrastano due esperienze antichissime, sia per il bambino che per l’essere umano: quella della fluidità, del movimento, dell’essere parte del cosmo, dei confini solo apparenti e fittizi da una parte; e dall’altra la vita cristallizzata in forme separate le une dalle altre, ferme, concrete e solide. La ricerca nell’infinitamente piccolo non è una questione di grandezza o piccolezza, ma è il viaggio verso le radici, verso la terraferma: un posto dove possiamo posarci e riposarci sapendo che è di quei mattoni che noi e il mondo siamo costruiti.
La Fenice
L’orgone è lo stadio utopico del movimento totale privo di forme, il polo di una mobilità però priva di identità, di una fusione che non permette neppure le separazioni. Mentre la catena genetica e cromosomica è la forma per eccellenza, ciò che produce in modo preciso la forma, o ancora la forma condensata nel puntiforme, in un programma che la svilupperà esattamente in quel modo.
L’orgone ci mette in comunicazione col mondo, in modo totale; il gene ci individua esattamente, ci rende unici, determinati e separati. L’uno deve condensarsi e fermarsi per dare materia e vita, l’altro ha bisogno del movimento per potersi sviluppare in forma di vita. Dunque la vita sta al centro, e partecipa di entrambe le qualità e di entrambe queste radici profonde. Il mito della fenice è nel circolo che si forma: la vita si irrigidisce e muore, dalla disgregazione provengono le vescicole di energia che si riaddensano in nuove forme di vita (l’esperimento sui bioni di Reich), che hanno in sé cristallizzato e condensato l’intero programma (la forma di tutte le forme): l’informazione genetica.
Due qualità diverse
Al di là delle metafore e dei miti cosa può leggere in tutto questo il reichiano di oggi, partecipe di una scienza che va sviluppandosi verso una complessità così differente dal meccanicismo assolutistico del passato, ma che comunque si pone in modo rigoroso, per distinguersi dal senso comune o dalla pura immaginazione? Un primo elemento di conoscenza è che entrambe le polarità, il gene e l’orgone, non sono entità di per sé, non hanno vita autonoma, come cose o oggetti sotto i nostri sensi concreti. Essi sono piuttosto due qualità, due maniere diverse con cui l’uomo percepisce se stesso e il mondo circostante, una conoscenza profonda e arcaica.
Una seconda considerazione ci porta a capire che le due polarità sono contrapposte solo apparentemente. Se noi osserviamo le dimensioni della plasticità-cristallizzazione, forma-fluidità, movimento-immobilità, nella loro interezza, con tutte le sfumature intermedie che sono possibili tra i poli estremi, scopriamo che la vita è caratterizzata proprio dalla presenza di tutta la gamma contenuta nella dimensione. Anzi, quanto più sono possibili e presenti le qualità di uno dei due poli, tanto più lo sono quelle vicine al polo solo apparentemente opposto. La vita si ammala se si limitano le gamme delle varie “dimensioni” in prossimità di una delle due estremità, poiché vengono a mancare anche le qualità dell’estremità opposta; la mobilità diminuisce e la gamma di potenzialità si riduce divenendo ristretta e limitata. L’individuo cade nell’angustia (letteralmente nell’angoscia), non più capace di spaziare in tutte le sfumature possibili (emotive, percettive, motorie, ideative) e costretto a risposte coattive, ripetitive, inadeguate.
Un nucleo, due rami
Partendo da queste due prime riflessioni, infine, possiamo dire che il gene e l’orgone rappresentano l’esistenza di due piani, due parti dell’uomo, unite profondamente nella loro origine e nelle loro radici. Ci torna in mente il pensiero di Reich, rappresentato in modo esemplare dal simbolo di un nucleo originario psicosomatico che si scinde in due rami, i quali finiscono con il contrapporsi l’un l’altro. L’elemento profondamente innovatore delle sue teorie riguarda appunto i meccanismi di scissione, e l’ipotesi che questi si inneschino solo in un secondo momento sotto le frustrazioni e le incapacità del mondo circostante di accogliere le profonde e vitali esigenze del bambino. Il gene e l’orgone possono così essere considerati due funzioni della vita profonda dell’uomo, sia a livello simbolico che biologico. E dei vari livelli funzionali, processi complessi che attraversano la psichicità e la corporeità, è possibile, secondo la nuova prospettiva, tener conto, operando in senso preventivo, oltre che terapeutico e curativo.