in “Formazione e supervisione in psicoterapia” XX Congresso della Società di Psicoterapia Medica – Ed. Centro scientifico torinese – Torino 1990.
Venti anni di ricerca e di attività hanno portato Luciano Rispoli e Paola Bovo ad illustrare metodologia, significati, impostazioni e nodi teorici relativi ai processi formativi nell’ambito del modello della Psicoterapia funzionale e corporea nelle sue formulazioni più attuali.
Se guardiamo alla Formazione della psicoterapeuta come ad un processo di attraversamento e di modificazione della persona a più livelli, non solo quello cognitivo dell’apprendimento razionale, ci ritroviamo automaticamente a fare i conti con i nodi teorici di una necessaria ridefinizione delle pratiche e dei modelli del campo “clinico”. La separatezza tra approcci e metodologie differenti, pur avendo generato un arricchimento delle possibilità di studio di processi psichici e comportamentali dell’essere umano, può oggi costituire un impasse. Il rischio è, infatti, quello di un rifiuto aprioristico di una mentalità sperimentale e scientifica (che deve comunque tener conto della delicata specificità del settore psicoterapico) se non si arrivano a definire i confini teorici dei vari approcci, se non si pone mano ad un’integrazione di ampio respiro, se non si accetta la possibilità reale di confronto e soprattutto di verifica. La possibilità di guardare, attraverso le lenti di ogni singolo modello teorico, non solo a ciò che il modello tautologicamente autovalida, ma a processi differenziati e complessi (dai dispositivi di cura, allo studio dell’eziologia dei disturbi; dalla prevenzione, all’applicazione in campi sociali più allargati; dalla variabilità dei settings in istituzioni, all’inclusione di un modello e di una interpretazione sull’età evolutiva), costituirà paradossalmente proprio la garanzia che non si creino altrettante “psichiatrie” o “psicologie cliniche”. È proprio dall’osmosi attraverso i confini, dal confronto tra ampie vedute, infatti, che può arrivare la complessa e sostanziosa capacità di individuare elementi comuni, illuminare aree di dubbi e incongruenze, di giungere infine ad una corretta impostazione epistemica generale dell’intera disciplina; a quello che potremmo definire un corpus teorico clinico. Ciò premesso ci accingeremo, con questo spirito, ad illustrare metodologia, significati, impostazioni e nodi teorici (seppure in modo sintetico e schematico) relativi ai processi formativi nell’ambito del nostro modello: quello della Psicoterapia funzionale e corporea nelle sue formulazioni più attuali, alle quali ci hanno portato più di 20 anni di ricerca e di attività. Analizzeremo cioè la formazione alla luce della teoria del Sé corporeo (con i suoi molteplici processi funzionali) e della stratificazione emozionale nella struttura psichica e somatica dell’individuo, a partire dall’impostazione della Scuola Europea di Formazione in Psicoterapia funzionale e corporea, così come è organizzata e realizzata in Italia dalla S.I.F. Se dunque la Formazione ha una valenza ampia e profonda, può essere vista allora come un processo volto soprattutto a ridonare senso in quelle zone dell’esperienza emotiva, cognitiva e percettiva nelle quali la risonanza è come attutita, distorta o addirittura apparentemente spenta. Lo stretto parallelismo con la pratica psicoterapica lo si coglie nella tendenza a condurre sia il sistema “paziente-terapeuta” che quello “formatori-allievi” in aree cosiddette integrate, dove c’è ancora una forte connessione tra “movimenti” (intesi in senso sia fisico che psichico) ed “emozioni”, tra “espressioni” e “percezioni” e così via. Ciò è possibile se si tengono presenti, a nostro avviso, alcuni punti basilari che costituiscono delle premesse indispensabili nel nostro modello formativo. 1) La Formazione non può essere disgiunta dalla Ricerca ma anzi ne è parte integrante se non vuoi divenire una acquisizione di capacità limitatamente applicative. Il pericolo è che “modelli forti” inducano ad una pedissequa ripetività della propria storia terapeutica, in contrapposizione con la molteplicità e la complessità della realtà. 2) L’inventiva e la creatività possono dare ragione di un modo specifico di “sperimentabilità” in campo clinico, purché si individuino tappe, fasi, principi e strategie generali strettamente connessi col modello teorico in questione. Il modello funzionale del Sé ipotizza una integrazione originaria di più processi funzionali, che vanno poi complessificandosi e articolandosi, , senza sostanziali salti di capacità, nei primi anni di sviluppo dell’essere umano. L’inventiva di conseguenza non può che assumere il senso di ritrovare di nuovo, di elaborare ed ampliare ciò che può rientrare nell’area esperienziale del “riconosciuto. 3) La formazione non può essere considerata come una somma di esperienze che è possibile “accumulare”, ma va accostata a profondi iter di formazione. Come tale ha bisogno di una strategia complessiva, di un filo conduttore che individui per ciascuno aree di regressione ai nuclei profondi dei Sé indispensabili per rimodellare vecchie fissità e per riampliare dimensioni percettive, espressive, motorie, ideative, ecc. 4) Nel modello funzionale e corporeo del Sé tutto ciò acquista un senso ben preciso di attraversamento interiore. Noi parliamo infatti della necessità di ricucire pazientemente scissioni e fratture esistenti, di ritrovare aree di integrazione, per ripartire proprio da lì alla riconnessione di vari livelli, alla rimobilizzazione di processi e funzioni del Sé. 5) Come durante la crescita del bambino si va espandendo la sua capacità di “decentrarsi”, di assumere punti di vista differenti, di trasportare su un piano immaginativo esperienze motorie e viceversa, così anche i processi riformativi ci sembra debbano poter realizzare un decentramento percettivo ed espressivo. E importante allora che non ci si limiti al classico rapporto diadico, paziente-terapeuta o allievo-analista didatta, ma che ci si apra sempre più a relazioni di tipo multiplo, sia nei tirocini, che nella terapia vera e propria, per facilitare il riassestarsi di visuali multiple, di ottiche decentrate, di potenzialità percettive ed espressive, che possono essere andate perse durante le vicende di vita trascorsa. Per poter ora esaminare più nel dettaglio modalità e metodologia della formazione specifica, non possiamo non richiamare alcuni punti strutturali del modello funzionale corporeo del Sé che si pongono in più stretta connessione con la formazione stessa. Ricordiamo innanzitutto che anche l’interessamento nei confronti di livelli più specificamente corporei ha subito la stessa evoluzione toccata, nella storia della psicoanalisi, a fenomeni quali le resistenze prima, il transfert e il controtransfert dopo. Anche il corpo, quindi, inteso non solo come sistema di strutture e funzioni; ma anche come rappresentazione su più livelli del sé, da ostacolo, da elemento di difficile comprensione e controllo ha finito per divenire un potente e fondamentale elemento che facilita e accelera i processi terapeutici. Bisogna però puntualizzare che le funzioni del Sé corporeo non vanno viste nel ristretto e limitato ambito della fisicità (che attiene ovviamente al campo della biologia, della neurofisiologia o dell’anatomia), ma sempre e comunque dal punto di vista della relazione. Il rapporto rimane l’oggetto di studio della psicologia ma, come tale, può essere studiato con l’ausilio di strumenti via via più sofisticati, con angolazioni e visuali più ampie e più complesse. Lo stesso vale per quanto riguarda pratiche e teorie psicoterapeutiche. Scriveva Racker nel 1968: “E possibile supporre che il progresso futu4 o delle conoscenze psicologiche in generale e in particolare degli avvenimenti interni dei pazienti nella situazione analitica, ci darà la possibilità di intensificare e persino accelerare sempre più il processo di trasformazione psicologica. Ciò dipende dalla nostra crescente capacità di capire e scoprire i processi inconsci che giacciono al di sotto di ogni frase del paziente, di ogni suo movimento mentale, ogni silenzio, ogni cambio del ritmo del linguaggio e della voce, di ogni suo atteggiamento.” Dobbiamo però sgombrare il campo da alcune concezioni distorte e meccanicistiche che si sono insinuate nell’area delle terapie psicocorporee, spesso tramite pratiche del tutto empiriche, prive di strutturazioni ed elaborazioni teoriche, volte più a suscitare forti sensazioni ad effetto che a intervenire seriamente ed efficacemente sul profondo. Continuare oggi a sostenere il dualismo psiche-soma è veramente improduttivo. Inoltre questi due concetti sono, alla luce delle attuali conoscenze troppo ampi e vaghi. Il modello funzionale corporeo del Sé, invece, individua le grandi aree nelle quali possono essere suddivisi i sottolivelli funzionali tra i quali è possibile che si generino scissioni e distorsioni, ciascuna con significati e conseguenze ben determinate. L’alterazione delle funzioni può essere così individuata da un’indagine molto più dettagliata che consideri nella fattispecie, il Piano posturale (tono muscolare, postura, movimenti, strutture somatiche); il Piano emozionale (qualità e intensità delle reazioni emotive); oppure il Piano fisiologico (Apparati: circolatorio, respiratorio, digerente, endocrino o anche Sistemi: nervoso centrale, vegetativo, periferico); o infine il Piano cognitivo-simbolico (sistemi di pensiero, capacità ideative, strutture simboliche).
Non è tanto per alterare gli stati di coscienza dell’individuo che acquista senso agire sui sistemi corporei. Non è un uso “strumentale” del corporeo che può arricchire prassi e teorie psicoterapeutiche. Appare di contro ricco di possibili implicazioni e di nuovi risultati studiare questi stati se li si collega ai fenomeni di alterazioni percettive, alle patologie generate dalla sconnessione tra percezioni e consapevolezza, o dalle numerose incongruenze possibili tra diversi piani funzionali. Da quanto sinora enunciato discende immediatamente l’improponibilità di tecniche terapeutiche che procedano casualmente, o che percorrano strategie fisse e stereotipate. Attraverso l’uso del campo transferale, e seguendo il filo della stratificazione emozionale delle emozioni nel corpo e nell’organismo, l’intervento psicocorporeo pone problemi teoretici, di rilevanza non secondaria, nell’intervento del terapeuta: quando usare le parole e come; quando interpretare e quando fare rispecchiamento; quando toccare direttamente il corpo, come e dove; che “ruolo” agire; come e quando utilizzare tecniche, una strategia complessiva che può essere riassunta come tendenza alla regressione psicocorporea in quelle aree dov’è ancora intatta l’interazione e l’integrazione tra le varie percezioni del Sé. Il concetto di contatto, allora, spesso considerato genericamente come capacità di sentire empaticamente l’altro, perde di nebulosità e acquista un senso preciso, che è quello di utilizzare determinati canali per entrare nel profondo: proprio quelli dove c’è minore caratterialità, più mobilità e quindi un minore ispessimento del falso Sé. Ciò vorrà dire utilizzare, a seconda della fase terapeutica e della stratificazione emozionale della persona, più il simbolico o il razionale, il piano fisiologico o quello posturale, in un continuo ricollegare e riconnettere ciò che il paziente ha percepito separatamente e con mobilità ridotta. Ritornando al modello formativo specifico bisogna sottolineare che in questo, campo è più che mai necessario mantenere un delicato equilibrio, affinché non si corra il rischio di cadere pedissequamente in paradigmi appartenenti strettamente alle scienze fisiche e naturali, dal momento che l’oggetto psicologico resta pur sempre il campo della relazione. Ma neppure si possono trascurare le continue nuove scoperte che permettono di affiancare ai metodi tradizionali di tipo “soggettivistico” dati e segnali “oggettivamente” rilevabili e condivisibili tra terapeuta e paziente, trainer e gruppo, operatore e osservatore. Il terapeuta continua pur sempre ad essere lo “strumento” attraverso cui si rispecchia e si dipana la vicenda terapeutica che, rimandata e condivisa col paziente, anche a livelli inizialmente non consapevoli, permette modificazioni stabili e significative. Ma ciò che tempo fa appariva nella scena relazionale “invisibile” o visibile solo “indirettamente” nel verbale, nelle associazioni e nei sogni, può oggi diventare visibile senza mediazioni come sconnessione evidente tra piani e funzioni del Sé (tra il detto e la postura, tra il percepito e il movimento fisiologico, o anche all’interno del medesimo livello funzionale). La coniugazione di soggettivismo con dati percepibili in modo “stabile” e incontrovertibile ci dà la misura della possibilità di accedere ad uno sperimentalismo, non classico, ma pur sempre capace di ingenerare paradigmi e proposizioni scientifiche valide in generale, poiché il pensato può essere rinsaldato dal percepito e i vissuti transferali e controtransferali confluire in un campo congruente e significativo, reso possibile dal concetto più ampio di Sé corporeo e funzionale. Nella traduzione pratica di queste teoresi, e in particolare della necessità di interconnessione tra livelli, ancora molto va affinato, specie nel campo formativo. Appare subito evidente che la vasta gamma di modalità formative che la nostra Scuola utilizza hanno un preciso senso di sollecitare da più piani ‘la mobilità percettivo-espressiva dell’allievo, per permetterli di affrontare i nodi della sua caratterialità in modo integrato. I tirocini specifici hanno poi il compito di introdurre esperienze dirette sia nel campo evolutivo, che clinico. I tirocini, d’altra parte, stimolano già in fase formativa quella particolare area di esperienza che potremmo definire della terza posizione, tra terapeuta e paziente, tra soggetto e oggetto. Preludono alla specifica funzione delle Supervisioni di cui, tra l’altro, vogliamo qui mettere in evidenza un aspetto significativo: il problema della distanza terapeutica. La lettura del campo transferale, specie in gruppo, allargata a tutte le funzioni del Sé, rende possibile la riacquisizione di una modularità con l’altro che non è né distacco né confusa identificazione e neppure un altrettanto rigido e poco significativo “giusto mezzo”. Quando si lavora col corporeo questo problema diviene di una delicatezza e al contempo di una intensità senza precedenti, tanto che si impongono soluzioni concettuali e operative certe e precise. E nato così questo concetto di modularità, che denota un continuo movimento, una oscillazione veloce tra la posizione propria e dell’altro, sul piano emotivo, razionale e corporeo in contemporanea, per evitare immobilità e paralisi, a parer nostro infruttuose perché estremamente collusive con la caratterialità del paziente. Un’idea più precisa delle interconnessioni la possono dare alcuni esempi di come vengono affrontati nel dettaglio determinati temi (fig. 1 e 2). Gli esempi per quanto siano schematici i grafici a blocchi riportati, vogliono mettere in evidenza il senso profondo di una prassi che deve sempre ricercare ragioni epistemiche e metodologiche per non essere fine a se stessa. Il tentativo è quello di interconnettere più piani a livelli di esperienza e di rielaborazione come superamento di una concezione lineare dei processi (far discendere dalla trasposizione pedissequa della terapia e dell’analisi didattica direttamente un campo formativo completo). Si può inoltre verificare, a partire da queste ipotesi di intersezioni metodologiche e funzionali, come sia ingannevole e riduttivo pensare che basti utilizzare il corporeo (ad esempio applicando dei massaggi, toccando qua e là. forzando in modo errato i processi respiratori, rilassando o facendo allenare dei muscoli) senza affrontare nuovi e delicati nodi teorici che ne scaturiscono per la psicoterapia tutta. Alla psicologia clinica si chiude quindi, con la psicoterapia funzionale corporea, un campo di intervento e di ricerca che non e riducibile a semplici tecniche o a particolari di secondaria importanza; ma è proprio il senso più profondo e dinamico della relazione stessa ad essere chiamato in causa, con tutti gli accadimenti che intervengono sui vari canali e piani interattivi, rispetto ai quali, come non è più possibile chiudere gli occhi, così non si può neppure saltare a empirismi o formulazioni inconsistenti, incomplete e prive di agganci scientifici con le altre discipline che studiano l’uomo e il suo complesso funzionamento.