in Marella L., Facchinetti O. (a cura di ) “Lo psicologo discusso” – Franco Angeli, Milano, 1992.
Nel seguente scritto Luciano Rispoli affronta l’arduo compito al quale la psicoterapia non può rinunciare per fronteggiare il disagio psichico, ormai divenuto globale. Il futuro della psicologia clinica, dunque, si gioca senz’altro nei servizi territoriali e nella sanità pubblica.
Introduzione
I grandi cambiamenti tecnologici, in così rapido sviluppo negli ultimi anni, e le ricadute impensabili che minacciano in modo così tangibile l’ambiente (non solo ecologico, ma culturale e sociale) sono elementi di forte destabilizzazione per lo psichismo umano. Forse per la prima volta (almeno nel nostro millennio) abbiamo pensato realmente ad una possibilità di catastrofe planetaria, e per la prima volta ai nostri figli non si schiude matematicamente la certezza del futuro. Il malessere e il disagio, dovuti a questi forti squilibri, si sono andati a sommare con quelli derivati da un’accelerazione nei ritmi di vita, da un accrescersi di sentimenti negativi e oppositivi (dovuti ad una vita difficile, e che non possono trovare una giusta via per l’espressione) dalla presenza di uno stress continuo, prodotto anche dagli inquinamenti (chimici, sonori, visivi, ecc.). In questo quadro la psicologia, e in particolare quella clinica, si trovano a dover affrontare un compito arduo, ma al quale non è possibile e non giusto rinunciare. Il disagio psichico è divenuto in un certo senso «di massa», e deve trovare una risposta adeguata, che non può esaurirsi nella psicoterapia degli studi privati. Dunque il futuro della psicologia clinica, si gioca senz’altro nei servizi territoriali, nella sanità pubblica. Vorrei qui subito precisare che non ritengo corretto pensare ad una teoria nuova che nasca dalla logica dei servizi, bensì ad una modificazione progressiva delle differenti aree teoriche della psicoterapia, oggi esistenti, in funzione appunto di una risposta adeguata ed efficace alle esigenze di cura e di prevenzione attuali. Con ciò voglio sostenere che il centro della ricerca in psicologia è e rimarrà l’essere umano, nel tentativo di cogliere sempre meglio i suoi processi e i suoi funzionamenti. Solo che la domanda di salute, espressa oggi in modo sempre più esplicito e diretto (finalmente considerata un bene e un diritto inalienabile delle persone), porterà gradatamente al superamento dell’attuale frammentazione tra le tante tecniche e teorie in psicoterapia. Il criterio della verificabilità dei risultati peserà sempre di più, spingendo ad un processo di ristrutturazione di tutta la psicologia clinica. Solo così sarà possibile riconoscere che, in fondo, i vari modelli psicoterapeutici non sono altro che studi su altrettanti aspetti della struttura psichica umana e della relazionalità dell’individuo. Ogni teoria ha guardato e ha illuminato una parte ben precisa di questo psichismo, incontrando e rilevando fenomeni che, proprio per la particolare focalizzazione non erano visti e colti dalle altre metodologie terapeutiche.
Questa ipotesi comporta due conseguenze importanti:
- La prima concerne la scientificità dei modelli psicoterapeutici, poiché da quelle ipotesi discende che in ciascuno di essi esistano proposizioni scientificamente significative e non falsificabili ed al contempo posizioni ed affermazioni da abbandonare perché in netto contrasto con i dati più recenti provenienti dalle varie discipline scientifiche.
- La seconda afferma che la frammentazione sarà superabile solamente in relazione a uno studio polifocale sull’ uomo, ad un affiancamento della ricerca (pur se vista in senso ampio e integrato) che tenda a comprendere lo sviluppo della personalità, la formazione del Sé, le alterazioni e le patologie che intervengono e, solo da qui, ad approntare metodi di cura e di prevenzione efficaci e adeguati.
In questo cammino certamente i Servizi delle Istituzioni pubbliche svolgeranno un ruolo centrale, per molteplici motivi:
- per la varietà estrema delle richieste e delle patologie che ad essi si rivolgono;
- per la minore consapevolezza e determinazione nel richiedere espressamente un trattamento psicoterapeutico, rispetto a chi si rivolge miratamente ad una psicoterapia privata;
- per una richiesta molto intensa nell’utenza pubblica di aiuto e di cura a vari livelli; e per una diffusa e pressante esigenza, sebbene né consapevole né diretta, di efficaci operati di prevenzione del disagio e del malessere, oggi dilaganti anche nell’infanzia;
- per una sorta di sfida (che si gioca sui grandi numeri) all’efficacia e all’utilizzazione, in ambito pubblico, dei vari approcci e metodi psicoterapeutici;
- per le grandi possibilità di accumulare notevoli quantità di dati, di utilizzarli su ampia scala in indispensabili ricerche epidemiologiche, di compiere indagini efficaci sui risultati immediati e sul follow-up a media e a lunga distanza.
Se i Servizi sapranno interpretare bene questo ruolo importante e interagiranno positivamente e propositivamente con il restante mondo della psicologia clinica, allora i vuoti intellettualismi, i tentativi di coprire di fumo e di chiacchiere la mancanza di fondamenti e di consistenza scientifica, l’insorgere di centinaia di tecnicismi non potranno più farla da padroni. Le psicoterapie non possono certo rinnovarsi cambiando i loro nomi, o inventando slogans migliori. La frammentazione e la desolazione di gran parte del panorama clinico dovranno per forza fare posto ad un incremento della ricerca seria, del confronto costruttivo, della operatività.
La capacità operativa
Il problema principale dei servizi territoriali, visto dall’angolazione dell’indirizzo clinico-terapeutico, si incentra su due aspetti apparentemente disgiunti ma, invece, profondamente interdipendenti: la capacità operativa e la formazione degli operatori. Per capacità operativa intendiamo una concatenazione congruente e non arbitraria di formulazioni che porti dal livello teorico generale all’esplicitazione di dispositivi di cura, di tecniche specifiche, di metodologie adatte a quel setting e a quella determinata istituzione. La grande sfida dei servizi di consulenza psicologica e di igiene mentale alla Psicologia clinica e alla Psicoterapia è nel doversi misurare con la più svariata patologia, anche quella psichiatrica grave. L’altro difficile nodo è nella necessità di adeguare gli «strumenti», sperimentati e sviluppati in sedi private, negli studi terapeutici, a un tipo di condizioni notevolmente differenti. Differente è l’utenza: nelle esigenze, nelle richieste che sono multiformi, nella composizione sociale e culturale. Ma sono diversi anche il grado di consapevolezza del proprio disagio e la voglia e la determinazione di curarsi con un trattamento dichiaratamente di tipo psicoterapeutico; queste ultime sono già particolarmente strutturate in chi si rivolge all’analista in privato. Inoltre l’utente del servizio si aspetta comunque un qualche risultato sin dall’inizio, miglioramenti tangibili, qualcosa su cui poter appoggiare la ricerca di fiducia e la possibilità di affidarsi in un campo, quello della sanità pubblica, che da noi ha un’immagine non del tutto rassicurante. Un’altra grossa differenza è nelle condizioni in cui si svolge la relazione curativa in un servizio, che non sono per nulla protette da una completa privacy; qui non ci si può appartare dal mondo, nel momento della seduta, né si determina quel lungo e lento formarsi di una consuetudine e di una familiarità che finiscono per aiutare notevolmente il paziente. Non ci sono condizioni che possano far sospendere, in un certo senso, l’agire difensivo e il doversi occupare da soli di sé, poiché un servizio pubblico resta calato completamente nella realtà «pubblica», caotica e multiforme, fatta di incontri e relazioni plurime, di commistione tra utenti e operatori, di popolazione e vita che scorre tutt’intorno. Capacità operativa, allora, assume il significato di mettere a punto uno strumento (principalmente diagnostico) efficace al di là del rigore e dell’immutabilità del setting, ma ancora basato su elementi che appartengono a quella particolare relazione. Non ci si può affidare, ad esempio, solo alle tecniche costituite dalle classiche libere associazioni, oppure solo alla concentrazione necessaria all’affiorare spontaneo di vissuti e ricordi; nemmeno ci si può basare sul gioco consapevole dei ruoli, o sulla comprensione razionale delle transazioni in atto, dal momento che non ci sono calma, tempo e lucidità per capire e analizzare. Bisogna, allora, utilizzare piuttosto elementi che siano presenti nel rapporto qualunque sia il modo in cui esso si instauri e qualunque siano le condizioni al contorno. A facilitare la ricerca ditali elementi, che abbiano una costanza di sussistenza al di là delle condizioni ambientali, c’è però quel particolare evento che io definisco di «regressione e di transfert iniziali». Sin dall’inizio il rapporto con lo psicologo, con il medico, con il terapeuta è, cioè, tutto intessuto delle condensazioni nell’attuale di emozioni trascorse, della stratificazione di storia passata, degli esiti di altre e più antiche relazioni, che si ravvivano in quell’evenienza. Sin dai primi incontri, anche nelle condizioni di un servizio pubblico, c’è un’intensa aspettativa affettiva dell’utente, che colora in modo intenso la relazione,
La costanza della struttura caratteriale e funzionale
La Psicoterapia funzionale (che prende le mosse dalla Vegetoterapia di Wilhelm Reich, e che è stata elaborata da chi scrive in più di venti anni di attività e di ricerche, sfociate nella fondazione della Società Italiana di Psicoterapia funzionale e corporea – SIF), da tempo si interessa a queste problematiche attraverso una prassi sperimentale che ipotizza una Scuola di Formazione direttamente implicata nei servizi, sia pubblici che privati. Questi ultimi sono costituiti dalle attività interne agli istituti della società stessa nel campo dell’infanzia (apprendimento, socializzazione, sviluppo evolutivo), in quello della nascita (preparazione al parto, parto, assistenza neonatale), nel settore più propriamente della psicoterapia (adulta, infantile, di gruppo, ecc.) e infine nel counseling (problemi relazionali, familiari, terapie focalizzate, disturbi psicosomatici, ecc.). Uno degli elementi che si possono considerare generali, presenti cioè in ogni condizione relazionale e terapeutica, e su cui la SIF ha lavorato negli ultimi 10 anni di ricerca, è la costanza della struttura caratteriale e funzionale del Sé. Essa si basa sui «messaggi» ripetitivi e stereotipati che la persona esprime attraverso tutta se stessa nei confronti del mondo circostante, in maniera per lo più inconsapevole. Questa condizione dell’essere finisce per permeare completamente l’intera struttura della personalità, e pervadere gli umori e le emozioni di base, condizionando le modalità con cui si esprimono sentimenti ed affetti. Per individuare la coattività caratteriale non è tanto importante analizzare il contenuto della comunicazione quanto la maniera o la forma attraverso cui essa si esplicita. A questa forma partecipano più piani relazionali: dal tono di voce alla gestualità, dalle posture del corpo alla sua configurazione morfologica, dalle modificazioni vegetative alla scelta delle parole e della loro concatenazione. La maggior parte ditali elementi non è influenzata dall’ambiente circostante; il che significa che in qualsiasi condizione al contorno, in ogni setting, in ogni struttura istituzionale, la persona esprimerà la propria modalità caratteriale di relazione in maniera riconoscibile ed inequivocabile. Ciò permette di formulare una diagnosi funzionale delle condizioni del Sé anche in situazioni non protette, disturbate, alla presenza di più persone, e in genere in condizioni lontane dalla purezza del setting.
Un criterio modulare di verifica
L’aspetto diagnostico, per quanto importante sia l’uso di uno strumento clinico facilmente «esportabile» dagli studi privati, è solo una parte delle potenzialità di questo modello di psicoterapia. L’altra naturalmente è l’intervento. E essenziale che l’agire terapeutico si muova realmente verso le mete che ciascun approccio si prefigge. Ma diagnosi e terapia, qualunque sia l’indirizzo teorico, non possono che essere strettamente intrecciate, dal momento che le formulazioni generali e più astratte della diagnostica derivano direttamente dalla prassi terapeutica adoperata: viceversa, è l’analisi permanente della situazione a indicare la strategia operativa da seguire. L’utente ha sin dall’inizio bisogno di una risposta diagnostica chiara ed esauriente, che colga i suoi bisogni più profondi e si accorga dei nuclei più nascosti del Sé, incapsulati nelle posture, nelle alterazioni fisiologiche, nei movimenti. Sappiamo che il potere terapeutico di una tale diagnosi iniziale è già di per sé elevato, a ulteriore riprova che i due momenti sono solo fittiziamente separati. Ma nel corso dell’intervento terapeutico è possibile individuare la presenza permanente di una diagnosi differenziale legata soprattutto ai processi in corso, al modificarsi della relazione e dell’espressione caratteriale, alla comparazione tra momenti successivi e condizioni precedenti della configurazione funzionale del Sé. La Psicoterapia funzionale ha posto specificamente l’accento su questo aspetto della metodologia, nell’ambito più complesso del delicato tema della sperimentabilità e scientificità in psicologia clinica. Non si tratta di ricorrere all’esperimento classico, isolando in un tentativo impossibile ognuna delle miriadi di variabili che concorrono alla relazione terapeutica, quanto di individuare elementi costanti presènti in ogni processo terapeutico. di individuare cioè fasi e strutture che si susseguono in ogni singola vicenda, al di là di particolarità e differenze. Le fasi possono essere considerate come i modi in cui si sviluppa la relazione terapeutica dall’inizio sino alla sua conclusione. In tutte le psicoterapie si trovano modalità simili se non identiche (così come costante è la configurazione del sé paziente in ogni condizione esterna); esse variano piuttosto all’interno del singolo caso, diacronicamente. Fasi e strutture si presentano dunque come elementi base per un discorso scientifico sulla ripetibilità e comunicabilità di quanto avviene nell’interazione terapeutica, e in particolare come elementi centrali per costruire un’ipotesi di verifica dei risultati a medio e lungo termine. Questa ipotesi è di tipo modulare e processuale (L. Rispoli, 1988); segue cioè l’andamento della relazione punto per punto, modulo per modulo, e permette di verificare non solo i risultati in senso assoluto, ma soprattutto se e attraverso quali condizioni si passa da una fase all’altra, si procede in avanti nel corso del trattamento. In Psicoterapia funzionale una tale concezione di verifica è strettamente connessa ad un altro concetto, quello di mobilità, che deriva, come proposizione generale, direttamente dal modello del Sé e dai suoi aspetti funzionali. La mobilità è un criterio che unifica le varie parti del Sé, di tipo olistico, e che si riparticolarizza e si specifica nelle condizioni concrete terapeutiche, come capacità o meno del paziente di spaziare in una determinata dimensione, di utilizzare tutte le possibilità e le strategie che ne compongono la gamma. Cosa intendiamo per dimensione? Ogni dimensione è un insieme di coloriture o scelte comprese tra due poli opposti, appartenente ad una delle quattro grandi aree in cui abbiamo raggruppato le funzioni del Sé.
Le quattro grandi aree funzionali sono:
- Muscolare-strutturale (posizioni del corpo, stereotipie somatiche, morfologie, blocchi muscolari, ecc.).
- Fisiologia (apparati e sistemi interni, quale il respiratorio, il cardiocircolatorio, il neurovegetativo, il sistema sensoriale e percettivo).
- Emotivo-affettiva (tonalità delle relazioni oggettuali, pulsione nell’agire, valenza verso le mete, ecc.).
- Cognitivo-simbolica (pensiero razionale, consapevolezza, mondo figurativo-simbolico, fantasie, ricordi, ecc.).
Una delle dimensioni che appartengono, ad esempio, all’area emotiva è quella della rabbia-tenerezza, naturalmente con tutte le sfumature che sono contenute tra questi due poli; oppure quelle del coraggio-paura,fiducia-sfiducia, agitazione-tranquillità, e così via. Ci sono poi le dimensioni del tipo caldo-freddo, vagotonìa- simpaticotonìa che appartengono al fisiologico; oppure quelle del posturale (prendere-lasciare, avvicinare-allontanare, teso-rilassato, ecc.); quelle del percettivo (vicino-lontano, grande-piccolo, ecc.); e così via per tutte le altre fondamentali funzioni del Sé. Ciascuna di queste dimensioni ci permette di verificare se il paziente ha la possibilità di spaziare nell’intera gamma, e se è in grado di scegliere volta per volta la coloritura e la strategia più adatta alle condizioni esterne del momento. E ciò vale per i sentimenti come per la gestualità, per la percezione come per la fantasia, per la razionalità come per il funzionamento biologico.
Tipi di intervento
Uno dei grandi vantaggi di questo modello clinico sta nella possibilità di formulare una diagnosi e un quadro della situazione in modo estremamente articolato, ma chiaro e definito. Ne derivano direttamente indicazioni terapeutiche evidenti. La strategia dell’intervento è dunque già sufficientemente contenuta nell’analisi delle alterazioni del Sé: quali siano le aree funzionali meno ispessite che possono condurre, attraverso la regressione psicosomatica, ai nuclei più profondi e integrati; quali piani debbono essere riconnessi, quali le rigidità più facili da mobilizzare in un primo momento, e così via. L’altro grande vantaggio consiste nella estrema flessibilità ed elasticità di uno strumento che permette l’accesso al profondo utilizzando molteplici vie, molteplici possibilità, e non attraverso soltanto un’unica strada obbligata. Gli interventi che la Psicoterapia funzionale può attuare, in una struttura pubblica, risultano così parimenti vari e flessibili, capaci di adattarsi via via alle differenti situazioni contingenti.
- Diagnosi terapeutica. Consiste in un primo accoglimento di esigenze profonde, non solo sul piano verbale, ma su tutte le aree funzionali del Sé. E possibile, in un periodo così breve come quello di una diagnosi, sostenere funzioni del Sé poco valorizzate, ma comunque capaci di modificare le condizioni del disagio. È possibile che, dopo l’aiuto iniziale, il movimento continui, si approfondisca e si evolva da solo, grazie a quella prima riconnessione tra funzioni non troppo profondamente scisse, operata nell’intervento diagnostico.
- Terapie focalizzate. In venti anni di attività e di ricerche chi scrive ha potuto constatare che, con il delinearsi e perfezionarsi del livello di teorizzazione attuale, contrariamente a quanto avveniva con il vecchio modello reichiano o loweniano, già nelle prime fasi della terapia si assiste, sempre, ad una forte recessione dei sintomi.
In tempi molto brevi, in effetti, oggi vengono toccate aree profonde del Sé, e riaperti flussi e interazioni tra funzionamenti fisiologici, movimenti, emozioni, consapevolezze, in un modo del tutto sorprendente, che tempo addietro non sarebbe stato certo possibile. Attualmente possiamo avere miglioramenti notevoli nel giro di 10-20 sedute, riguardanti molteplici sintomatologie: cefalee, dolori, stanchezza, gastriti e coliti; oppure ansia, insonnia, tachicardia; o ancora riniti e asma; e così via. Grossi sollievi si raggiungono rapidamente anche per chi soffre di fissità nell’umore di base, di irritabilità, di agitazione psicomotoria, di angosce, di pensieri fobici e ossessivi. Non tutto si «guarisce» in poco tempo, ma è possibile notare, anche in casi gravi, sensibili miglioramenti, già agli inizi della terapia. Questo aiuta a spezzare il circolo: sintomo-angoscia-preoccupazione-sintomo, poiché fornisce ai pazienti il senso concreto di procedere per la strada giusta, di aver veramente iniziato a fare qualcosa di buono per sé. Non si tratta di terapie del sintomo, perché comunque l’intervento spazia su più piani funzionali, con interventi verbali e non verbali. Si tratta piuttosto di focalizzarlo su alcune parti del Sé, mentre altre continuano a rimanere sullo sfondo, insieme ad alcuni tratti caratteriali non modificati, che si risistemano in un nuovo equilibrio.
- Psicoterapie profonde. La tecnica della regressione psicosomatica permette di andare molto nel profondo, e di toccare le radici più antiche del disagio.
Ciò che caratterizza la Psicoterapia funzionale in questo delicato cammino è che comunque si riscontrano, anche in questo caso, miglioramenti sensibili iniziali, che danno sollievo, fiducia, voglia di andare fino in fondo. Possiamo ben dire che la terapia non è e non deve assolutamente essere sofferenza (come spesso scorrettamente si dice, forse a causa di incapacità tecniche e teoriche); al contrario essa fornisce subito una sensazione di aiuto e di grande sollievo, sia fisico che psichico. Ancor più in una psicoterapia corporea, la possibilità di contenimento fisiologico e posturale permette un’apertura delle parti profonde, senza che angosce e sofferenze eccessive dilaghino perché prive di un’efficace forza di contrasto psicofisico. La particolarità della Psicoterapia funzionale, inoltre, è nell’intensità dei vissuti, delle sensazioni e dei movimenti prodotti; perciò è sufficiente una frequenza delle sedute non elevata, anche in patologie abbastanza gravi, così da poter rispettare tempi ed esigenze istituzionali.
Modalità di intervento
Possiamo distinguere differenze di base nell’intervento in un servizio pubblico, a seconda se esso è rivolto direttamente al soggetto da solo, o al soggetto nelle sue relazioni molteplici, o indirettamente alle persone che sono in rapporto con lui.
Gli interventi possono essere:
- diretto ed individuale. E indirizzato al soggetto stesso, e completamente calibrato su di lui. Consiste in una terapia individuale, o in colloqui d’appoggio, o in una terapia focalizzata, comunque individuali;
- di gruppo. Si è rivelato molto utile quando si voglia collegare la terapia ad un intervento di socializzazione. La mobilizzazione in gruppo permette di ottenere altre strade per la regressione in aree dove la matrice gruppale possiede ancora un significato aperto e connesso, e produce una risonanza in tutti gli altri piani del Sé.
E possibile nel gruppo una interessante applicazione dei concetti funzionali, potendo parlare, anche in tal caso, di una sfera cognitiva (caratteristiche del gruppo nel suo modo di pensare), di un piano fisiologico (tipo di reazioni, percezione, sensibilità, motilità del gruppo), di un piano posturale (porsi nello spazio, movimenti, uso dell’ambiente, rumorosità, sottogruppi, ecc.) e di un’area emotiva (atmosfera, emozioni prevalenti, emozioni rimosse o indirette, ecc.);
- sulle condizioni al contorno. Si tratta di intervenire sulle relazioni più importanti del soggetto, facendo sì che le configurazioni indi-viduo-ambiente si modifichino. E utilissimo per consolidare i risultati di una terapia o indispensabile qualora si voglia agire con soggetti fortemente dipendenti da figure adulte (come i bambini piccoli, i soggetti portatori di handicaps, ecc.).
Lo studio dell’ambiente e delle istituzioni è certamente il campo maggiormente suscettibile di ulteriori ampi sviluppi nel modello teorico della Psicoterapia funzionale. E possibile infatti parlare di diagnosi funzionali del territorio, di squilibri funzionali, di sconnessioni e irrigidimenti, e così via. Il modello funzionale del Sé ci può, in tal senso, fornire una base estremamente utile per un’ analisi delle innumerevoli variabili in gioco. Esso ci fornisce infatti un quadro d’insieme non dispersivo, una teoria che le riunisca e che permetta di annotare solo quelle implicate nelle disfunzioni, un filo rosso che di volta in volta semplifica la scena in relazione alla singola condizione «patologica». La ricerca in questa direzione ha ancora moltissimo spazio ed enormi prospettive.
Campi di applicazione
Non ci soffermeremo dettagliatamente sull’elenco delle esperienze che, già consolidate, costituiscono efficaci applicazioni della Psicoterapia funzionale, anche perché alcune sono oramai abbastanza note. Quello che vorrei qui sottolineare è da una parte l’elasticità del modello funzionale, e dall’altra lo spirito di ricerca e di intervento curativo insieme, che deve sempre animare lo psicologo clinico. Il modello funzionale ha già dimostrato la sua strabiliante validità nella psicoterapia individuale e di gruppo, in un’ampia casistica (anche per l’infanzia) che vede disturbi psichici e psicosomatici anche di notevole gravità. Ma essa è risultata utile anche al di fuori dei canoni classici; per esempio come supporto a terapie mediche di vario genere, o come terapie focalizzate (alle quali abbiamo già fatto riferimento). I risultati che si ottengono in una gravidanza, nella preparazione al parto e nella nascita, nella neonatalità sono più che incoraggianti, e ci spingono sempre di più ad affinare e ad estendere le modalità di questi interventi «precoci». Un altro grosso campo di applicazione è quello dell’infanzia, dello sviluppo psicoemotivo, dell’apprendimento, della crescita di personalità. Le sperimentazioni in questa direzione sono consolidate da molti anni nell’attività del Centro Studi Reich di Napoli. Delle istituzioni e del sociale abbiamo già accennato. Resta soltanto da citare il campo della formazione, non intesa in senso ristretto nel solo settore psicoterapeutico, ma come metodologia in generale. Io credo che la psicologia clinica, nello spaziare ed espandere i propri interessi, non debba avere il timore di peccare di presunzione, ma debba invece sforzarsi di allargare ad alone l’effetto della sua capacità operativa, toccando seppur sperimentalmente, via via nuovi campi e nuove problematiche. I servizi di salute pubblica possono essere, allora, in tal ottica, al primo posto in questa espansione. Luogo ideale per guardare al di là dei confini già noti della psicoterapia tradizionale, i servizi possono favorire una tale fioritura di idee, di verifiche, di modificazioni teoriche che, se perseguite con pertinacia e con rigore scientifico, potranno costituire la base reale per quell’importante ed indispensabile passo da realizzare verso una psicologia della salute, una psicologia sociale ed allargata del benessere.