in The flesh of the soul: The body we work with Ed. Micheal Heller, 2001.
Luciano Rispoli, in collaborazione con Alison Duguid.
Le ricerche attuali in psicoterapia sono sempre più incentrate sulla comprensione di come funziona la psicoterapia, al di là dei vari modelli clinici. Cosa realmente succede nel processo psicoterapeutico? Cosa realmente il terapeuta fa accadere durante le sedute? Guardiamo a questo livello intermedio che non è quello delle tecniche (fare un massaggio, far compiere dei movimenti, interpretare, ecc.), ma nemmeno quello degli obiettivi generali (sviluppare le potenzialità, sciogliere i sintomi, aiutare la persona, riequilibrare il Sé). Scopriremo, allora, che in sostanza il terapeuta aiuta a recuperare e ricostruire delle esperienze fondamentali per la vita umana, esperienze che sono state carenti nell’infanzia: le Esperienze Basilari del Sé. E lo fa con l’aiuto dei vari livelli Funzionali con i quali il particolare modello opera. Il futuro consisterà sempre più nello sviluppo di una teoria della tecnica in grado di recuperare tutte le Esperienze Basilari carenti e su tutto i livelli funzionali del Sé.
In tanti anni trascorsi nella pratica clinica e nella ricerca in psicoterapia, sono arrivato ultimamente a farmi una domanda centrale (una domanda che del resto oggi si pongono molti ricercatori)’: cosa realmente accade ai livelli più essenziali del processo di cambiamento in psicoterapia (e della relazione terapeuta-paziente)?
Secondo l’ottica della Psicologia Funzionale (uno dei più recenti sviluppi della Psicoterapia Corporea), si può dire che in realtà ciò che succede in psicoterapia è che si modificano le Funzioni alterate, e gran parte del lavoro terapeutico è effettivamente volto a questo fine. Noi che lavoriamo con le Funzioni possiamo vedere concretamente i cambiamenti dei vari livelli Funzionali:
i ricordi che si aprono, la voce che cambia, il tono muscolare diventare mobile, le trasformazioni delle posture abituali, la comparsa di una tenerezza prima soffocata, i movimenti da fragili assumere tono e forza, le fantasie perdere la loro carica di negatività e di terrore.
Ma c’è qualche altra cosa che avviene in terapia e che non si può spiegare unicamente con il lavoro sulle Funzioni. Il lavoro sulle Funzioni è certamente già molto più articolato, complesso e preciso di quanto non fossero, anni addietro, le tecniche dello “sbloccare” il corpo, le tecniche di scarica bioenergetica, quelle ripetitive di una certa corrente della vegetoterapia, quelle volte a muovere il corpo per muovere il corpo. Eppure, il lavoro sulle Funzioni non basta a spiegare completamente cosa accade in tutti quei momenti in cui la relazione tra terapeuta e paziente assume una qualità particolare, un’intensità non usuale, una configurazione che può richiamare molto da vicino quella che intercorre tra il genitore “buono” e il bambino, la bambina, piccolini. Cosa il terapeuta mette in atto in quei momenti? Cosa “tocca”, per avere quel tipo di risposte così sorprendenti?
La soluzione a questi problemi era complessa e semplice allo stesso tempo.
Da parte di molti autori si cominciava a sostenere l’importanza della gratificazione dei bisogni fondamentali e gli effetti negativi profondi delle frustrazioni, nell’infanzia. E sempre più, in una significativa convergenza, i vari modelli parlano di carenze e di bisogni più che di conflitti tra istanze psichiche 3Si poteva ipotizzare, allora, che la terapia portasse a ricomporre un qualcosa che prima era frammentato o rarefatto o alterato; un qualcosa che, una volta recuperato, permetteva poi di occupare spazi di vita perduti, modi di essere sepolti da tempo. Si trattava di ritrovare la pienezza, esistita in qualche parte del passato nella vita dei pazienti. E le nuove conoscenze scientifiche acquisite sull’infanzia corroboravano questa ipotesi.
Rileggendo attentamente protocolli scritti dei vari casi trattati in terapia, e riflettendo sulle tecniche messe a punto in tutti questi ultimi anni, andava delineandosi sempre di più l’idea che, alla fin fine, all’interno della relazione terapeutica venivano ricostruite alcune particolari modalità di relazione. Queste modalità sono in effetti delle particolari “esperienze” che caratterizzano un rapporto genitoriale positivo. Queste esperienze, che ho definito Esperienze Basilari del Sé, sono i mattoni su cui si costruisce la vita: costituiscono il serbatoio a cui attingiamo ogni qualvolta ne abbiamo bisogno per poter vivere pienamente una determinata situazione, per poter realizzare proprio ciò che desideriamo.
“Lasciare”, ad esempio è fondamentale nella esistenza umana: non si potrebbe vivere se non si avesse la capacità di lasciare di tanto in tanto, non rimanendo continuamente all’erta, in uno stato permanente di vigilanza e di concentrazione spasmodica. “Lasciare” è un’esperienza che il bambino è già in grado di vivere sin dall’inizio, e che viene attraversata più e più volte nella fase primaria dell’esistenza. E’ in questo modo che l’essere umano può sperimentare la pienezza di quella determinata Esperienza di Base del Sé in varie condizioni ambientali, attraverso tutte le differenti sfumature che la possono caratterizzare. L’Esperienza di Base del Sé si consolida , assumendo coloriture diverse e viene così a far parte definitivamente del patrimonio di saperi e capacità della persona. In seguito, tutte le volte che sarà necessario, possibile, desiderato, il soggetto potrà ricorrere a questa capacità: potrà “lasciare” per distogliersi dalla fatica di una concentrazione stressante, potrà “lasciare” per diminuire la tensione di una relazione troppo difficile e controllata. In figura i è riportata una possibile lista ditali Esperienze Fondamentali ciascuna di esse risulta importante per poter vivere bene, e ciascuna di esse, ricostruita e riattraversata in modo positivo, va a costruire quel serbatoio di possibilità e capacità al quale possiamo attingere tutte le volte che vogliamo e tutte le volte che sia necessario. Le prime ipotesi di possibili Esperienze di Base si sono andate modificando man mano che portavo avanti la ricerca, lo studio dei casi, l’analisi delle regolarità e delle fasi in terapia4, fino alla formulazione attuale qui riportata. Le Esperienze sono suddivise in gruppi omogenei: le differenze all’interno di ciascun gruppo sono in effetti sfumature, coloriture dìverse dì una fondamentalmente medesima Esperienza di Base del Sé. Funzioni ed Esperienze di Base del Sé Abbiamo prima parlato di “Funzioni” nello sviluppo del bambino, e ora stiamo sostenendo che questo processo ha a che fare piuttosto con degli insiemi ben più complessi e articolati. Ma qual ‘è allora il rapporto tra Funzioni ed Esperienze Basilari del Sé?
Stern, affrontando il tema delle prime esperienze di vita, rivelava che il bambino impara a leggere” e collegare in modo stretto tutti gli elementi che in esse sì ripetono e che perciò caratterizzano un determinato evento in modo sistematico: la fame e l’allattamento, il ritorno della madre, l’essere preso in braccio, e così via. Stern ritiene che questi elementi vengano racchiusi in sistemi unitari, in cosiddetti involucri d’esperienza. Già in altri scritti avevo aggiunto alla concettualizzazione di Stern la considerazione che questi insiemi di elementi, connessi in un’esperienza determinata, altro non sono in fondo che le varie Funzioni del Sé raccolte intorno ad un evento che assume un andamento più o meno costante. Successivamente, questi concetti si sono ulteriormente sviluppati. Oggi l’ipotesi è che tutti i piani funzionali della persona, profondamente interconnessi e congruenti tra loro, contribuiscono a formare non soltanto un semplice “involucro di esperienza”, ma anche qualcosa di più significativo e importante: vale a dire un’Esperienza Fondamentale del Sé che, consolidandosi e rafforzandosi nel suo ripetersi positivo diviene patrimonio delle capacità della persona.
Ad esempio, nell’Esperienza Basilare dello “stare”, di rimanere tranquillamente abbandonato senza null’altro da fare, il bambino sperimenta il poter allentare la tensione e la vigilanza. Steso nella culla, si abbandona affidando il suo peso al materassino che lo sostiene. poggiandosi completamente, e rilasciando il tono di tutti i suoi muscoli, I movimenti diventano, allora, tranquilli, morbidi e senza un senso preciso; gli occhi vagano lontano; il respiro diviene calmo e diaframmatico; la voce si riduce a dolci mugolii; anche i pensieri sono calmi e lenti, così come le percezioni; la vagotonia prende il sopravvento; i desideri si allentano come un liquido che non ha forme precise.
Possiamo notare come in questa esperienza (come del resto anche nelle altre Esperienze Basilari del Sé) tutti i piani funzionali (pensieri, posture, voce, emozioni, desideri, ecc.) siano originariamente congruenti tra di loro, rendendola piena e completa. Se non sono intervenuti ripetuti impatti negativi dell’ambiente a disturbare l’esperienza di “stare”, se lo “stare” non è stato reso difficile da sollecitazioni eccessive, paure, ansie dei genitori nei confronti del bambino, allora nello “stare” il bambino sperimenterà un intenso senso di benessere e di piacere, una pausa gradevole tra un attivarsi e l’altro. Se questa esperienza verrà attraversata positivamente più volte, si consoliderà, e il bambino conserverà anche da adulto questa capacità di fermarsi e di rimanere tranquillo in compagnia di se stesso, senza dover fare niente altro che starsene con se stesso.
Le Esperienze fondamentali devono avere uno svolgimento positivo affinché siano assicurati al bambino la continuità di esistenza del Sé (senza precoci brusche interruzioni), la conservazione dell’integrazione originaria, uno sviluppo armonico e pieno di tutte le Funzioni psicocorporee.
La ricostruzione delle Esperienze Basilari del Sé
Le Esperienze Fondamentali del Sé, se carenti, hanno bisogno di essere in qualche modo recuperate e riparate. E la terapia è il luogo elettivo perché questo possa accadere, un luogo protetto e deputato proprio a questo. E’ proprio il trattamento terapeutico che può fornire una sorta di “seconda possibilità” per ripercorrere in modo nuovo il cammino alterato, e ricostruire il tessuto lacerato delle Esperienze Fondamentali. Non è molto facile, infatti, che in altre situazioni di vita si possa incontrare qualcuno capace di prendersi cura completamente di noi e garantire tutte le condizioni per riattraversare in modo diverso che nel passato le Esperienze Fondamentali per la vita. Nella terapia, invece, si può ritrovare una vera e propria “seconda occasione”6, nella quale il paziente può finalmente interrompere i suoi cortocircuiti, appoggiarsi pienamente senza doversi preoccupare per l’altro, senza dover necessariamente ‘ricambiare”, senza dover tenere il filo degli avvenimenti. E’ l’unica possibilità che si ha, da adulti, di potersi affidare pienamente e di “ritornare” così ad un “prima” che intervenissero alterazioni. sconnessioni, caratterialità rigide; o meglio, ad un “profondo” dove sussistono ancora condizioni di integrazione tra le varie Funzioni del Sé e condizioni di mobilità vitale.
Negli ultimi anni, come dicevamo prima, anche altri modelli teorici si sono gradatamente spostati sull’idea che la terapia possa “riparare” carenze nel sostegno antico, effetti di un insufficiente contenimento e di una non piena soddisfazione dei bisogni primari e fondamentali del Sé. Ma va chiarito che riparare antiche lacerazioni non vuoi dire semplicemente fornire esperienze gratificanti, bensì andare a modificare direttamente le modalità di funzionamento del soggetto. Non si tratta di “soddisfare” i desideri e i bisogni che il paziente esprime in terapia, perché anche i bisogni si possono essere alterati diventando bisogni nevrotici. Si tratta invece di recuperare i bisogni primari, i quali sono appunto legati alle Esperienze Fondamentali del Sé. L’obiettivo della terapia, dunque, si è andato chiarendo e articolando sempre di più nella direzione di riaprire le Esperienze Fondamentali del Sé per raggiungere degli esiti “nuovi”, differenti da quelli che si erano cristallizzati nella vita del paziente. E indispensabile che queste Esperienze (laddove non è avvenuto) siano rese di nuovo gratificanti e nutrienti bisogna trasformarne gli esiti antichi connotati negativamente; bisogna modificare le conseguenze delle vicende drammatiche che i pazienti hanno già vissuto nel loro sviluppo evolutivo: indifferenza, incomprensione, distacco, ostilità, sfiducia, freddezza nei propri confronti. Possiamo oggi sostenere, a ragion veduta, che il nucleo centrale della terapia consiste appunto nella paziente e profonda ricostruzione delle Esperienze Basilari del Sé alterate, carenti e sconnesse, i cui esiti non hanno permesso di salvaguardare la continuità e l’integrazione complessive della persona, deviando dal loro compito di conservare intatta la capacità di mantenere salute e benessere. Naturalmente, come si può facilmente immaginare, il processo di ricostruzione delle Esperienze di Base carenti non è affatto “lineare”. Non è sufficiente proporre una Esperienza di Base una volta sola. Bisogna togliere gli ostacoli che si frappongono, girarci intorno, tornarci su diverse volte, fino ad ottenere il successo pieno. Ma, una volta che gli obiettivi sono diventati più chiari, che le modalità d’intervento che il terapeuta deve mettere in atto si sono andate precisando, tutto risulta più evidente e in un certo senso più semplice, anche se più complesso. Ma, al contempo, tutto deve diventare anche più rigoroso, se si vogliono ottenere i risultati richiesti: si può inventare” di meno o meglio: se si inventa qualcosa di nuovo lo si deve fare sempre in funzione degli effetti che si vogliono ottenere e non in funzione di un gusto puramente creativo.
In quest’ottica nuova è altrettanto impensabile che ci si possa limitare a vedere quel che viene fuori durante la terapia, o che si segua semplicemente il paziente, nei suoi vissuti, senza indurre possibili modificazioni; o ancora che si propongano esperienze toni court, esperienze di qualsiasi tipo, per quanto gradevoli possano essere. Bisogna invece arrivare a realizzare il cambiamento necessario e voluto, bisogna andare esattamente su quelle Esperienze di Base che devono essere recuperate, ricostruite.
In realtà, il pensiero Funzionale ha oggi introdotto criteri di grande chiarezza su come procedere in terapia e su come ottenere i cambiamenti e i risultati desiderati. Il passo ultimo e più significativo dello sviluppo del pensiero Funzionale riguarda senza dubbio la possibilità di ricostruire le Esperienze di Base del Sé. Ma, come dicevamo, questo processo non è lineare. Cosicché in realtà si continua a lavorare ancora oggi sui distretti, sull’alleviare i sintomi, sulla mobilizzazione delle Funzioni, come interventi preparatori alla parte centrale e più profonda della psicoterapia, costituita appunto dal lavoro sulle Esperienze di Base del Sé. Per ricostruire le Esperienze di Base del Sé, dunque, è necessario curare l’intervento nei minimi dettagli, attraverso un’azione specifica su tutte le funzioni. E indispensabile, cioè, che queste arcaiche esperienze siano ripercorse su tutti i piani del Sé (dall’emotivo al posturale, dai ricordi ai movimenti, dalle fantasie al neurovegetativo). Solo così si potrà riportare la persona veramente all’interno dell’esperienza carente e lacerata, per riattraversarla e per ricostruirne pienamente ed efficacemente le potenzialità. Una volta entrati nel profondo delle Esperienze di Base, si potranno toccare con mano i meccanismi più importanti del funzionamento umano, si arriverà ai nuclei più interni dei problemi e dei disfunzionamenti della persona. E quando l’esperienza sarà ricostruita nella sua pienezza (con i suoi risvolti emotivi, con i livelli simbolici, con espressioni verbali e non verbali integrate e congruenti, con il tono di voce giusto, con l’attivazione fisiologica adatta, con i ricordi e le capacità immaginative che la supportano), allora essa rappresenterà una ricchezza a cui la persona potrà sempre attingere, tutte le volte che lo desidera: rivivendola ogni volta in modo pieno e positivo, e godendosene i frutti.
Una psicoterapia che si voglia muovere su questi livelli di intensità non può esprimere tutta la sua efficacia se si limita a restare al di sopra del “controllo” e della vigilanza, ma il suo presupposto deve essere sempre quello di un raggiungere quelle zone interne del Sé, dove la persona sente e capisce al contempo, dove si riaprono emozioni e movimenti. E di lì poi si può procedere, attraverso un lavoro paziente e continuo, ad un allargamento di queste zone interne integrate e ad una riconnessione delle aree vicine in modo via via più esteso. Raggiungere il profondo non avviene mai in modo identico per tutti, o a caso, ma è ottenuto utilizzando per ciascun soggetto proprio quei canali che sono rimasti più aperti e mobili, nei quali il controllo è morbido, il vissuto ancora pieno, e procede per piccoli passi, con l’aiuto del terapeuta, al di sotto degli strati superficiali e del controllo. E quando si giunge a situazioni antiche e intense, allora il paziente riesce a lasciarsi andare completamente, e il terapeuta lo può “prendere”, accogliendolo in sè; proprio come se fosse un “piccolino” che ritorna ai suoi bisogni fondamentali e alle possibilità di riattraversarli positivamente. La terapia non può cambiare il passato ma i suoi effetti si, permettendo ai nuclei interni vitali di recuperare consistenza, stabilità, sicurezza, senso di pienezza. La ricostruzione delle Esperienze Fondamentali del Sé è in fondo un processo estremamente intenso di “nutrimento”, nel quale si ristabilisce finalmente la continuità del Sé e delle sue esperienze positive, e, insieme ad esse, si ristabiliscono benessere, salute, gioia di vivere.
Il futuro e la teoria della tecnica
Per fare in modo che questa ricostruzione avvenga in modo pieno e completo, come abbiamo già visto, è necessario curare l’intervento in modo preciso in tutti i dettagli. Una volta messo in luce, dunque, il livello di quanto accade veramente nello svolgimento del processo terapeutico, è indispensabile, allora si, ritornare sul piano degli strumenti, delle tecniche, per realizzare nel modo migliore possibile quanto ci si prefigge. Ma, per essere più precisi, è necessario tornare, con piena consapevolezza, non tanto alle tecniche, ma finalmente, e una volta per tutte, alla Ieo,ia de/lu Icenicu, e riprenderla con rigore e consapevolezza, al fine di rendere la terapia sempre più efficace, più profonda, più breve e al contempo meno dolorosa e più dolce.