in “Benessere e malessere” (op. cit.).
Per Luciano Rispoli lo stress cronico coinvolge tutte e aree del Sé. Per combatterlo è necessario intervenire sulla complessità della persona, ma anche sulla comunità in cui vive.
La prospettiva funzionale
La Psicoterapia Corporea ha oramai oltre 60 anni di vita, nei quali ricerche, risultati, dati sempre nuovi sono andati via via arricchendo questa importante area della psicologia clinica. L’ampia gamma di dati ed elementi che l’approccio psicocorporeo si propone di tenere in considerazione ha condotto a una teoria originale sull’intera struttura della personalità, a un modello complessivo del Sé che accogliesse al suo interno anche le scoperte che nel frattempo discipline contigue realizzavano, in specie sui processi della nascita e della prima infanzia, o nel campo della psicofisiologia. Si è andata dunque definendo sempre più un’ipotesi generale che inquadrasse sistematicamente tutti i processi psicocorporei, che considerasse tutte le differenti funzioni, ricercandone le leggi che le regolano. Si è trovato così che le varie funzioni del Sé sono inizialmente profondamente integrate in un nucleo originario, e che vanno successivamente scindendosi tra di loro e alterandosi in configurazioni che possono essere chiaramente identificate e analizzate. Tali configurazioni ci permettono di capire come e perché ci si ammala, quale tipo di strada prenderà questa alterazione del Sé (se di tipo psichico o somatico), e in certa misura prevedere a distanza l’insorgere stesso delle patologie. In particolare è la prospettiva funzionale che ha raccolto e portato più avanti gli studi e le ricerche sulle complesse leggi di funzionamento e di interconnessione di tutti i processi psicocorporei del Sé, dei vari piani e sottopiani che lo compongono, e che possono essere raggruppati in 4 grandi aree, (Emotiva – Posturale e muscolare – Fisiologica – Cognitiva e simbolica), secondo un modello funzionale che negli ultimi tempi si è andato verificando e consolidando. Tutto ciò ha aperto la strada a una serie di prospettive e di applicazioni dalla portata incalcolabile, sulle quali si stanno compiendo numerosi passi, che comunque sono da considerarsi ancora passi iniziali se paragonati a quelli che potenzialmente possono ulteriormente svilupparsi. Prendiamo un esempio concreto, in relazione a uno dei temi più affascinanti e ricco di prospettive, quale quello dello stress.
Lo stress
Oggi si conoscono numerosi elementi del fenomeno stress grazie alle ricerche che, partite dalle prime tesi di Selye, si sono ulteriormente sviluppate in Francia, in Italia e negli USA. Conosciamo quali sono le risposte dell’organismo in una condizione di stress acuto, e nelle fasi successive al perdurare della presenza dell’agente stressante. Sappiamo molto delle complesse interazioni dei sistemi interni dell’organismo e in particolare di come reagiscano il sistema neurovegetativo e quello neuroendocrino (anche se di giorno in giorno si scoprono nuovi neuromodulatori sia centrali che periferici, e i relativi recettori). Sappiamo inoltre che il problema maggiore è il degenerare di uno stress acuto (fisiologico e benefico) in uno stress cronico, con la trasformazione di stimoli da esterni a interni: stimoli “fantasmi”. Infine sappiamo che ci sono chiarissime connessioni tra differenti piani di funzionamento nella complessa catena che porta dal micro al macro, dai livelli interni a quelli più esterni e macroscopici; ad esempio tra il piano delle emozioni o quello delle fantasie e le risposte alterate degli apparati interni dell’organismo (stress); o tra condizioni di stress e sistema immunologico, e così via. Ci sono però ancora molti anelli della catena sconosciuti o non ancora sufficientemente chiariti: e sono nodi centrali per la possibilità di intervenire e di prevenire i danni da stress. La prospettiva funzionale permette di affrontarli con una visione complessiva di tutti i piani e i processi funzionali, attraverso una serie dileggi che consentono e facilitano il passaggio da un livello all’altro del continuum macro-micro. Non si sa ancora bene, ad esempio, come il comportamento delle persone o il loro vissuto emotivo possa influire sullo stato di stress, o come questo sia in grado di modificare le condizioni dell’apparato immunitario. Non ci bastano più le definizioni di caratteristiche che un certo tipo di studi ha individuato per la cosiddetta personalità di tipo A, come soggetto tendente allo stress, ai disturbi d’ansia e al rischio di malattie circolatorie. Possiamo oggi arricchire e approfondire questo tipo di ricerche inserendovi altri piani e livelli della struttura del Sé, altri anelli della catena micro-macro, altri più dettagliati e circostanziati aspetti dell’alterazione dei processi funzionali psicocorporei, per poter arrivare a comprendere realmente e a fondo i meccanismi e le modalità che, attraverso una cronicizzazione dello stress, conducono i soggetti in una zona di rischio per le cardiopatie o per gli altri tipi di malattie degenerative (comunque connesse a una deficienza della risposta immunitaria). Possiamo andare più a fondo e guardare a tutte le modificazioni di tipo fisiologico e somatico che caratterizzano (strettamente intrecciate agli aspetti emotivi e cognitivi) le personalità a rischio. Anzi siamo in grado di affermare che è soprattutto l’interazione, la modalità con cui sono interconnessi tutti i fattori appartenenti alle varie aree del Sé, ad essere in tal senso significativa. E’ indispensabile procedere dunque nella ricerca, ritrovando quegli anelli che ancora mancano alla comprensione di questi complessi fenomeni, in particolare rispetto alle specifiche e determinate modalità attraverso cui si cronicizza lo stress e soprattutto le tecniche e le metodologie attraverso cui si può allentare, fermare e invertire questo procedimento. A tal proposito bisogna sgombrare il campo dall’illusione “medicalistica”, che pensa di intervenire su tutte le numerosissime sostanze che si liberano o si modificano in situazione di stress attraverso trattamenti farmacologici (che tra l’altro non potrebbero che fornire un effetto tampone). Abbiamo invece la possibilità di individuare fattori più generali di regolazione delle sostanze biochimiche, ai quali è possibile accedere da piani più “esterni”. Uno dei nodi più importanti da risolvere riguarda il come si cronicizza lo stress. La cronicità dello stress infatti è molto più diffusa di quanto non si pensi e tocca direttamente il problema fondamentale della prevenzione. Non bisogna credere che siano solo stimoli reali perduranti nel tempo a produrre una condizione di stress cronico; al contrario, in realtà accade molto più di frequente che si metta in moto un fenomeno di “cortocircuito” all’interno di alcune aree del Sé, che continua ad approfondirsi e ad autoalimentarsi anche se non sono presenti eventi esterni evidenti di disturbo. Osserviamo la configurazione delle varie aree del Sé, in condizione di stress che va cronicizzandosi: è caratteristica la presenza di una emozione strisciante di scontentezza poco definita; l’immaginazione perde la sua capacità progettuale di organizzare il movimento verso un futuro e si trova inesorabilmente sommersa da fantasie che vengono dal passato; la consapevolezza si stacca dal posturale e dal fisiologico impedendo di percepire le alterazioni del respiro, del tono muscolare, delle posizioni stereotipate del corpo; le emozioni più intense si riversano direttamente sul fisiologico; il sistema neurovegetativo e quello respiratorio continuano a funzionare isolati e cortocircuitati, come se fosse ancora presente una causa reale di stress all’esterno. Il diagramma funzionale ci permette di analizzare con notevole precisione il tipo di alterazioni e scissioni in atto, e di intervenire in modo adeguato attraverso una serie di tecniche che evidentemente devono toccare e modificare tutte le aree del Sé colpite. La ricerca ventennale in psicoterapia corporea ci ha fornito una complessa strumentazione di tipo olistico dà mettere al servizio del progetto terapeutico generale e delle strategie che la teoria funzionale permette di individuare. Attraverso un approccio funzionale possiamo cominciare a comprendere come ridurre le condizioni alterate di stress cronico, come invertire un processo già in atto prima che sfoci in una serie di sintomi più gravi ed evidenti, e infine come operare affinché si produca una “cultura dello stress” diffusa, per combatterlo a livello di comunità.
I progetti per la comunità
Dal piano più strettamente clinico si possono ricavare indicazioni preziose per passare a un livello ben più ampio, sociale. Da qui la necessità di una stretta collaborazione tra queste due branche della psicologia: clinica e di comunità. E’ necessario approntare una serie di progetti di intervento su larga scala, al fine di dare concretezza a concetti oggi molto adoperati come “benessere” e “qualità della vita”. L’OMS giustamente è da tempo attenta a questi aspetti della salute e del benessere, e volge i suoi sforzi a promuovere quelle ricerche e quelle realizzazioni che siano in grado di fornire una reale ed efficace risposta nella lotta contro lo stress, contro le diffuse patologie cardiache e degenerative, che in qualche misura allo stress sono collegate. Dicevamo di una cultura dello stress, di una consapevolezza sociale del fenomeno e dei mezzi per combatterlo e prevenirlo: questa è una delle maniere per rendere concreto il discorso sul benessere ed evitare il pericolo di scivolare in indicazioni vaghe e generiche, che finirebbero per essere troppo lontane da metodologie specifiche di psicologia. Per cultura dello stress intendiamo una serie di progetti e di interventi a più livelli per far apprendere e diffondere conoscenze, metodi e tecniche (in fondo relativamente semplici da realizzare) per evitare il più possibile che il fenomeno si espanda, si intensifichi, o soltanto si inneschi. Si tratta di organizzare corsi, gruppi, e altri metodi di sensibilizzazione attraverso cui la gente possa comprendere, ad esempio, l’importanza dei fattori di regolazione generale (prima menzionati) quale una corretta respirazione diaframmatica, o una mobilità del tono muscolare di alcune zone chiave del nostro corpo. Interventi così semplici, ma allo stesso tempo estremamente utili ed efficaci, potrebbero divenire di uso comune da parte dei genitori nei confronti dei loro bambini, negli studi medici, nella educazione fisica a scuola, nelle attività sportive, e anche nel mondo del lavoro, in una sinergia di interventi che offrirebbe a livello di popolazione non solo la sensibilità per accorgersi tempestivamente dell’insorgere dei primi sintomi di stress cronico, ma anche una strumentazione potente per prevenirlo, realizzando così una condizione sociale diffusa di benessere.