in “Il corpo parla” Riza Scienze n. 55, Marzo 1992.
Lo stress è una delle minacce più “moderne” al nostro equilibrio psico-corporeo. I ritmi imposti dalla vita metropolitana spesso danno vita a pericolosi stati d’ansia. Stress e ansia sono i nemici da combattere. E l’autore, Luciano Rispoli, ci suggerisce uno dei percorsi possibili da seguire per ritrovare la perduta armonia.
Introduzione
Il problema dello stress assume per la ricerca scientifica, nella sua totalità, un’importanza particolare, non solo perché è di estrema attualità, ma anche perché è uno di quegli argomenti di frontiera ricchissimo di implicazioni e di conseguenze in molteplici rami della scienza. Sono sempre più numerosi gli studi che tendono a verificare i collegamenti tra il campo emozionale (e psichico, in senso generale) con i livelli profondi del biologico. Si studiano, ad esempio, le interazioni tra depressione e cancro; tra shock emotivo e malattie degenerative: tra stress e indebolimenti del sistema immunitario; tra ansia e malattie cardiocircolatorie; e così via. Tutte queste ricerche sembrano aver comprovato che esistono connessioni indubitabili tra differenti livelli di funzionamento dell’uomo, o, come diciamo in psicologia funzionale, tra differenti aree del Sé. Molto spesso però i piani studiati sono troppo lontani tra loro, cosicché si perdono le possibilità di trovare il senso più profondo delle interconnessioni e delle leggi che le regolano. Eppure le possibilità che si dischiudono sono di così vasta portata che la spinta a proseguire per questa strada è estremamente intensa e colma di fascino. A questo punto si pongono due ordini di problemi. Innanzitutto è necessario estendere la ricerca su tutti i piani consecutivi ed adiacenti che compongono il continuum tra i livelli più esterni del comportamento e dello psichismo, e quelli più interni e sottili che attengono al microbiologico. Quello che manca negli studi sinora realizzati è la comprensione del come i collegamenti trovati si esplicano: attraverso quali altri piani e livelli, con quali meccanismi intermedi. Si tratta in altri termini di allargare la ricerca e la comprensione dei fenomeni psicofisici, su tutta la catena che dal macro (respiro, movimenti, tono muscolare, comportamento, ecc.) conduce al micro (modificazioni biochimiche interne: neurotrasmettitori, neuromodulatori, apparato immune, ecc.).
Un secondo aspetto, che dovrebbe integrare questo tipo di studi psicofisiologici, riguarda la possibilità di intervenire e di operare su tale continuum, sui vari piani intermedi, sia per rendere efficace la ricerca, sia per riuscire a modificare od invertire i processi degenerati in atto. L’approccio funzionale in psicoterapia corporea, attraverso il suo modello del Sé, e lo studio delle interconnessioni tra tutti i piani che lo compongono, può rappresentare uno degli strumenti più adatti e promettenti proprio per la realizzazione di questi obiettivi. Vediamo come si estrinsecano queste possibilità, sia nelle ricerche già realizzate, sia nelle prospettive e nelle direzioni che, a partire da queste, ci si dischiudono davanti sempre più promettenti.
L’ansia.
Una condizione psicofisica strettamente legata allo stress è quella dell’ansia, intesa come microconflittualità esistenziale, come dissonanza tra parte cognitiva e parte emotiva del sé. L’aumentare dei livelli di ansia è caratterizzato da numerose modificazioni. a più livelli. In un’ansia abnorme si riscontra una diminuzione del controllo della corteccia corticale; aumentano del 100% le onde cerebrali dai ritmi lenti; si intensificano le attività mnemoniche, nel senso di confronto tormentoso tra situazioni attuali difficili, non compiute, e un passato rimpianto che però non potrà tornare più. In condizioni patologiche più avanzate, l’ansia comporta una partecipazione emotiva drammatica ed esagerata, con una prevalenza ossessiva di preoccupazioni e paure. Le risposte cortico-limbiche sono sensibilmente incrementate, e aumentano ancora di più i ritmi encefalografici di tipo 0. Estremamente varie e numerose sono le manifestazioni somatiche e le modificazioni della fisiologia dell’organismo dovute all’ansia. Si va da un senso tipico e angosciante di oppressione al torace, a dolori e vuoto allo stomaco; da tachicardie ed extrasistole a fitte acute e improvvise agli arti. Frequenti sono le cefalee, le vertigini, le nausee, gli squilibri ormonali, le dismenorree. Molto diffusi sono i disturbi della concentrazione, stanchezza e prostrazione, nausee, senso di svenimento, crolli vagotonici, dolori muscolari. Intenso è il senso di irrequietezza fisica, soprattutto nelle gambe. A volte compaiono “correnti fluide”, come dei languori mortali, che scendono giù verso il basso; o vampate di calore verso l’alto. Lo stato di simpaticotonia prevalente produce, oltre ad un battito cardiaco sempre accelerato, sudorazione, bocca asciutta, estremità fredde. Non infrequenti sono i tremolii, sia di alcune parti del corpo sia interni, “gelatinosi”, come una vibrazione che può produrre un terremoto nel corpo e dissolverlo. In modo particolarmente allarmante vengono avvertiti formicolii, parestesie e “addormentamenti”, movimenti involontari dei muscoli, come clonismi e fascicolazioni, specie se ripetitivi (tipiche le fascicolazioni dei muscoli del contorno oculare, soprattutto quelli della palpebra inferiore). Un dato indicativo ed estremamente interessante emerge dalle esperienze e dalle ricerche condotte negli ultimi 10 anni dalla psicoterapia funzionale. Quasi sempre, quando si riesce a raggiungere quella che definiamo una “condizione regressiva profonda”, attraverso metodologie caratteristiche e particolari che riguardano principalmente la respirazione e la modificazione muscolare, i pazienti avvertono sensazioni molto simili ad alcune (ben determinate) di queste percezioni alterate dovute all’ansia, avvertite però in seduta come non allarmanti, benefiche, trasformative. E questo è un segnale evidente che in terapia funzionale si toccano meccanismi profondi, appartenenti a diversi livelli biologici e fisiologici, che sono comunque interessati dai fenomeni di ansia e di stress, e che appartengono ai piani intermedi tra micro e macro. Possiamo anche dire che nell’ansia si manifesta in ogni modo una certa “vitalità” che nell’ansia si verificano esplosioni incontrollate fisiologiche, nelle quali funzioni del nucleo originario profondo, seppure in maniera alterata e paurosa, emergono in superficie non più bloccate e sepolte. E interessante notare, a tal proposito, come l’ansia sia un processo funzionale spesso confuso e mescolato con l’eccitazione, sia per l’attivazione di circuiti neurofisiologici ed endocrinali contigui o identici, sia per la commistione che tra queste due attivazioni fisiologiche spesso si crea nella storia evolutiva dell’individuo, sin dall’infanzia. Questo spiega bene il perché la ricerca di situazioni ansiogene, di films ansiogeni, la febbre ansiogena del gioco d’azzardo, siano così diffuse. L’ansia è divenuta per tali soggetti un succedaneo dell’eccitazione, un tentativo disperato di cercare una sensazione che in qualche modo “tiri su” dia una sferzata di vitalità, altrimenti offuscata e intorpidita dalle alterazioni funzionali del Sé. Resta infine da sottolineare quanto vasta sia la categoria dei disturbi che, oltre a quelli somatici prima analizzati, vengono difficilmente inquadrati oggi (persino dalla stessa psichiatria ortodossa) come disturbi d’ansia. Tra questi sono infatti inclusi: nevrosi fobiche (agorafobia, fobie sociali, claustrofobia); nevrosi d’ansia (panico, ansia generalizzata); nevrosi ossessivo-compulsive; attesa apprensiva (timori, preoccupazione, rimuginazione); senso continuo di allarme; distraibilità, difficoltà di concentrazione; insonnia, irritabilità, impazienza; e così via. L’ampiezza di questa elencazione ci dice molto sull’importanza e sull’estensione del fenomeno.
Diagramma funzionale dell’ansia.
Il modello e la teoria funzionali del Sé ci permettono di inquadrare gli aspetti dell’ansia, attraverso una visione d’insieme che permetta di tener presente i vari livelli su cui si manifesta1io alterazioni e modificazioni.
Le figure 1 e 2 ci danno la rappresentazione funzionale “classica” dell’insieme delle quattro aree del Sé, e dei sottopiani nei quali si esplicano tutti i processi funzionali dell’intero quadro psicocorporeo. Da una condizione originaria di equilibrio, e di integrazione profonda delle vane aree e delle varie funzioni, si possono sviluppare alterazioni di vario ordine e grado: quali sconnessioni e scissioni tra le aree funzionali o all’interno della stessa area; ipertrofizzazioni o atrofie di alcuni processi funzionali (grandezza o piccolezza dei cerchi); sclerotizzazioni, ripetitività e limitazioni di altri (spessore delle linee di contorno).
La figura 3, invece, ci fornisce un quadro generale (naturalmente di massima) della situazione d’ansia, come si presenta in gran parte dei soggetti osservati. Notiamo che il razionale è in genere molto sviluppato, ma comunque con modalità non lineari, bensì contorte irrigidite. Le fantasie sono spesso paurose, e facilmente intrecciate con il pensiero, che perciò risulta falsamente ragionativo. Le emozioni sono notevolmente staccate dal nucleo profondo del Sé, ingigantite, e pervase quasi interamente da preoccupazioni, timori e paure. Una delle caratteristiche prevalenti è nella configurazione del fisiologico, che è fortemente alterato, con una condizione di simpaticotonia cronica, e una respirazione in genere affannosa e alta, toracica. Spesso sono presenti modificazioni delle percezioni e del tono muscolare di base in numerosi distretti corporei dell’organismo. I movimenti sono limitati e stereotipati, facilmente bruschi e a scatti. Mancano in genere quelli morbidi, quelli ampi, quelli forti ma calmi. Nelle situazioni di ansia diventano pesanti compiti e incombenze; le scelte e le soluzioni sembrano divenire difficilissime. Ciò appare più comprensibile alla luce del quadro prima tracciato: le fantasie divengono staccate e terrifiche, e non riescono ad assolvere alla funzione di immaginare il futuro in modo progettuale, poiché non sono supportate da un piano logico-cognitivo adeguato, da percezioni chiare e intense degli avvenimenti e dell’ambiente esterno, e da ricordi che costituiscano un bagaglio utile e indicativo. I ricordi, invece, vengono vissuti con dolore e struggimento. Guardare ai possibili movimenti da fare, studiarne le conseguenze, modificare e aggiustare con l’immaginazione gli accadimenti futuri, si da progettarli nel modo migliore per gli obiettivi che ci si è posti, produce un’insopportabile senso di incertezza sul da farsi, come se in navigazione notturna e con nebbia si fosse privi dello strumento indispensabile del radar. Anche l’attesa, perciò, diviene dolorosa ed angosciante, e tutta l’ossatura del tempo sembra schiacciarsi e appiattirsi in un presente oppresso da fantasmi del passato, buio e senza futuro, o meglio con un futuro che è catastrofico perché è tutto presente nell’attuale, come se la “fine” incombesse vicinissima (la morte, la vecchiaia o la disgregazione). Contrariamente a quanto si potrebbe credere, il soggetto ansioso è solo apparentemente una persona lucidamente vigile: in realtà è piuttosto un agitato, continuamente in tensione e in ipercontrollo, offuscato da confusione e annebbiamento. Di notte soffre d’insonnia, di giorno ha tensioni e simpaticotonia con frequenti crolli troppo bruschi al vago, e con conseguenti cali di vitalità e di attenzione. Anche nell’eccitazione, come dicevamo, e specificatamente nella sessualità,si ha dapprima una crescita dell’attivazione del sistema simpatico, e solo successivamente, dopo l’acme, una discesa in una condizione di vagotonia; ma queste modificazioni sono morbide e graduali, e non brusche e violente. La condizione vagotonica, dopo un buon rapporto sessuale, è allora di rilassamento naturale, caratterizzata da un senso benefico di caldo che si diffonde in tutto il corpo sin nelle estremità (piedi e mani), da una piacevole stanchezza, da un gradevole allentamento del controllo e della vigilanza. La presenza di tristezza e di depressione, che un certo tipo di letteratura (anche della classica antichità) attribuisce alle sensazioni e al vissuto “post coitum”, si spiega solo alla luce della commistione già citata tra ansia ed eccitazione, dove la improvvisa mancanza di queste (dopo l’acme) si traduce in un malessere peggiore, fatto di mancanza di senso di vitalità.
Stress
Stress ed ansia sono fenomeni profondamente interconnessi; ma mentre l’ansia è una condizione patologica d’attesa, con colorazioni emotive alterate, e dà luogo ad una serie di disturbi molto ampia, ad un quadro clinico di alterazione complessiva del Sé, lo stress è una risposta dell’intero organismo ad una spinta, ad una serie di stimoli soprattutto esterni che lo pongono in allarme, e che possono costituire piccoli o grandi traumi psico-fisici. Lo stress acuto innesca funzionamenti e meccanismi tesi a mettere la persona in grado di affrontare la situazione, rispondere efficacemente agli stimoli; le emergenze, i pericoli. I momenti successivi all’iniziale sono caratterizzati da attivazioni differenti dell’organismo (studiate da numerosi autori, da Selye in avanti), che seguono alla condizione di primo shock, ma nelle quali comunque sono interessati fondamentalmente il sistema neurovegetativo e quello neuroendocrino, con la liberazione di numerose sostanze neurotrasmettitrici e neuromodulatrici, a livello sia centrale che periferico. Ognuna di queste attivazioni ha il suo preciso compito nell’obiettivo complessivo di rendere la persona in grado di aumentare la capacità di comprensione e concentrazione, di decidere con grande rapidità di mettere i muscoli in condizione di muoversi subitaneamente (per attaccare, difendersi, fuggire) di avere a disposizione l’energia adatta ad agire, e così via. In tal senso lo stress acuto rappresenta una condizione particolare, ma normale, di funzionamento della persona; è per questo che viene definito “benefico”, per la sua capacità di tenere allineati dei meccanismi fondamentali per la conversazione e lo sviluppo della vita. I problemi subentrano quando lo stress si trasforma in cronico, cioé permanentemente attivato, anche se all’esterno non vi sono condizioni reali di pericolo, di allarme o di necessità di forte attenzione e concentrazione. Si parla in questo caso di stimoli fantasma, stimoli che sono totalmente endogeni. L’organismo continua a comportarsi come se ci fosse una reale condizione d’urto, continua a rispondere producendo allarme e attivazione dei meccanismi di stress. La domanda fondamentale è allora : come lo stress diviene cronico? Quali sono i meccanismi ed i processi che lo continuano a mantenere, anche quando gli stimoli reali non ci sono? Rispondere a queste domande significa arrivare alla comprensione profonda dei processi dello stress, poter intervenire su di essi, durarli ed invertirli; e, non ultimo, poter realizzare provvedimenti preventivi di piena efficacia. Ma per rispondere bisogna estendere le indagini a tutti i piani intermedi che collegano il micro al macro. Il fenomeno stesso dello stress, infatti, è un esempio di tale collegamento, poiché alcune delle cause che influiscono sui sistemi profondi ed interni (del neurovegetativo, del cardiocircolatorio, dell’ormonale, giù giù sino all’immunologico e al microcellulare), sono chiaramente appartenenti a vari piani del continuum, spesso spostate verso il livello del macro, e perciò accessibili alla nostra osservazione. Percezioni di attacchi o della presenza di pericoli esterni; frustrazioni sul lavoro o mancanza di gratificazioni percepite come adeguate (all’età, alle aspettative, all’importanza dei compiti svolti); delusioni amorose e amarezze; senso di ingiustizie subite; perdite di affetti cari; eccessive responsabilità e concentrazioni di compiti: sono altrettante cause di stress (intenso, come comunemente si usa, nel senso di “cronico”; così come lo useremo nel prosieguo di quest’articolo). Ma nessuna di queste può essere da sola causa di stress, se non vi sia, e soprattutto una condizione già alterata (anche se incontrollata e inconsapevole) dei piani intermedi del continuum micro-macro, o, in altri termini, delle aree del fisiologico e del posturale-muscolare della visione funzionale del Sé. Ciò che accade è che si innescano condizioni di cortocircuito, funzionamenti cioè automatici, che continuano a mantenere condizioni di stress. Più queste alterazioni sono in fase avanzata, più bassa è la soglia oltre la quale condizioni esterne reali innescano risposte di stress irreversibile. Non sono dunque né la quantità di lavoro, di dispiaceri, di pericoli, né il solo perdurare degli stimoli, a produrre lo stress; sono piuttosto le condizioni qualitative interne, le condizioni di alterazione della figura complessiva del Sé a renderlo cronico e irreversibile.
Il quadro neurofisiologico dello stress
La figura 4 ci da un’idea della complessa attività messa in moto nell’organismo in una condizione di stress. Il quadro complessivo ci permette di cogliere le connessioni funzionali dei vari sistemi attivati. Particolarmente interessante è la constatazione che, dietro funzionamenti particolareggiati, sparpagliati di vari organi, esista una funzione di regolazione generale, svolta dal sistema Neurovegetativo Autonomo. Questo infatti ci permetterebbe di cominciare ad intravedere (come vedremo più avanti) una possibilità di agire sull’intero complesso quadro microbiologico se si riuscisse ad influire profondamente sul neurovegetativo.
La figura 5 ci descrive, in modo più dettagliato, in particolare il quadro delle sostanze neuromodulatrici e neurotrasmettitrici attivate nella situazione di stress. Possiamo notare come l’asse di attivazione Ipotalamo-Ipofisi-Corticosurrenalico chiama in gioco il ruolo fondamentale del vissuto emotivo. E questa una seconda osservazione importante per aprire le porte della comprensione e di possibili soluzioni nella lotta allo stress. Ci sono effetti inibitorio effetti di stimolazione, per il rilascio di varie sostanze, come mostra la funzione, ad esempio, del Corticotropin Releasing Factor (CRF). Ci sono le funzioni in parte conosciute di mediatori quali il cortisone e la Noradrenalina, la Serotonina, l’Acetilcolina e l’Adrenalina. E in gioco anche il complesso sistema peptidico del piacere, di più recente acquisizione, con sostanze quali le ben note endorfina, Encefaline, e sostanze P. Ma è chiamato in causa anche il circuito GABA: effetti inibitori dell’acido gamma-ammino butirrico. Il quadro si è di recente complessificato con la scoperta di ulteriori mediatori, quali il Ricettore ionoforo del cloro, le Betacarboline, i Ligandi imidazobenzodiazepinici e pirazochinolici, i cui recettori sono diffusi in numerose zone: midollo spinale, troncoencefalo, cervelletto, aree limbiche, aree corticali. Sarebbe dunque sempre più difficile, oltre che inefficace, riuscire a curare lo stress intervenendo farmacologicamente su tutte queste così numerose sostanze. D’altronde le facili illusioni di aver scoperto la “pillola della felicità”, quando si studiarono il ruolo e gli effetti delle endorfine, caddero rapidamente alla constatazione che non si poteva, o modificare realmente le loro concentrazioni nell’organismo somministrandole dall’esterno, ma che tutto dipendeva dalla capacità interna di produrle e di immetterle in circolazione.
Gli effetti della terapia funzionale
Come potere allora intervenire sul fenomeno dello stress? E’ possibile modificare ed invertire situazioni di stress cronico? Man mano che le esperienze sulla psicoterapia funzionale procedevano, colpiva il fatto che, già dopo poche sedute, molti dei classici sintomi dell’ansia tendevano a ridursi drasticamente. Ci accorgevamo che, lavorando sulla respirazione, sulla muscolatura profonda, sulla postura, e soprattutto sulla riconnessione di differenti aspetti funzionali del Sé, riuscivamo ad intervenire su una discreta parte delle complesse catene e dei processi che conducono dal macro al micro. Le modificazioni che si possono ottenere nel livello del fisiologico (una delle aree in cui il modello funzionale suddivide i processi del Sé) sono estremamente significative: temperatura corporea, battito cardiaco, sudorazione, tensioni e dolenzie, coloritura ed eruzioni della pelle, ciclo mestruale, processi osmotici, ritenzione dei liquidi, e così via. Tecniche di rilassamento tradizionali, come il Training autogeno, il Biofeedback, ecc., non sono sufficienti perchè si basano in gran parte sulla volontà e sulla consapevolezza. Ora, quando c’è una notevole scissione tra questo livello e le altre aree del Sé (e normalmente in condizioni di stress c’è), non è possibile attraverso questi metodi raggiungere gli stessi risultati che si delineavano con la terapia funzionale, perché il piano del fisiologico e del muscolare sono cortocircuitati su sé stessi, nella circoncizzazione dello stress. Il tono muscolare, le stereotipie delle posizioni del corpo, il modo di respirare, diventano funzioni quasi del tutto distaccate, e continuano a ripercorrere le medesime modalità indipendentemente dalla volontà e dal resto dei livelli del Sé. La scoperta estremamente importante della terapia funzionale consiste nell’aver individuato i meccanismi profondi che trasformano lo stress da acuto in cronico, che mantengono elevato il grado generale di simpaticotonia, che costringono il fisiologico a continuare a funzionare in stato di stress. Lo stress si cronicizza attraverso questo ancoramento sul piano posturale-muscolare e sul piano fisiologico. Le funzioni della respirazione, del tono muscolare di base, delle posture e dei movimenti cadono in una condizione di cortocircuitazione su se stesse, e costituiscono gli stimoli endogeni fantasma che alimentano senza sosta uno stato di stress più o meno intenso, rendendo comunque l’organismo estremamente fragile nei confronti di altri agenti stressanti di tipo esterno. Quello che non si era ancora compreso (ma che adesso, con queste prime intuizioni, apre le porte a sviluppi di grande interesse), era l’implicazione di tutti questi altri piani e li-velli nel fenomeno di cronicizzazioni dello stress. Era necessario, cioè, capire come la cronicizzazione avvenisse in termini più concreti, andando a studiare le effettive avvenisse in termini più concreti , andandosi a studiare le effettive modificazione che producevano lungo la catena macro-micro. Lo stato di stress così mantenuto, poi, alimenta a sua volta le sconnessioni con l’area del cognitivo e le alterazioni delle fantasie e dell’immaginazione, aggravando le condizioni preesistenti. Le emozioni hanno sempre minori possibilità di esprimersi direttamente attraverso movimenti e posture adeguate, e così compresse e soffocate, si traducono direttamente e drammaticamente in alterazioni e disturbi fisiologici.
I fattori generati di regolazione
Tutto ciò ci conduce alla scoperta di processi funzionali che in qualche misura sono una chiave per il funzionamento dell’organismo e per i meccanismi dello stress. Questi processi centrali rappresentano altrettanti fattori generali di regolazione, intervenendo sui quali è possibile accedere dall’esterno anche a gran parte degli altri piani della sequenza macro-micro. Una delle conferme che se ne deducono (peraltro già ipotizzata anche attraverso altri studi) è che non c’è solo una via corticale-viscerale, come si era sempre creduto, ma anche (e non meno importante) una via muscolare-viscerale. Ulteriore elemento interessante, a sostegno del collegamento tra questi due livelli, e in particolare tra respirazione e piano microbiologico, è il fatto che la membrana del midollo pulsa per effetto della respirazione, membrana che, come abbiamo visto, è il luogo di numerosi recettori di sostanze biochimiche connesse al fenomeno stress. D’altra parte è già stato provato come l’intero e complesso quadro di sostanze neuromodulatrici sia regolato, nel suo insieme, dalle condizioni dell’SNV (Sistema Neurovegetativo); mentre le esperienze di psicoterapia funzionale hanno a loro volta dimostrato che agendo in un ben determinato e particolare modo sulla respirazione e sulla struttura muscolare dell’organismo, si è in grado di influire profondamente sull’equilibrio dell’SNV. Le ricerche dei fattori di regolazione sono estremamente attuali, sia nella biologia, sia negli studi psicobiologici. L’importanza della scoperta di questi tre fattori, da parte della psicoterapia funzionale (respirazione diaframmatica originaria – tono muscolare di base – allentamento delle posture) consiste nell’aver individuato elementi facilmente accessibili dall’esterno, e dunque nell’aver aperto una strada estremamente fertile e ricca di prospettive. A differenza delle ricerche di biologia, in questo caso non si tratta di una scoperta di fattori genetici (peraltro estremamente delicati e difficili da raggiungere), ma di fattori fisiologici, muscolari e posturali, di ben più facile accesso. Attraverso i fattori di regolazione è possibile non solo studiare su più livelli i meccanismi dello stress, ma soprattutto riuscire ad intervenire per modificarli efficacemente e profondamente. Si tratta di arrivare a interrompere i cortocircuiti che si sono formati e allentare il controllo automatico e ripetitivo; ma anche di permettere al mondo emozionale di aprirsi ed esprimersi, e di trasformare i filtri corticali, di smuovere le rigidità e l’immobilità, di evitare il perdurare di una pericolosa e stratificata tendenza a trattenere.
Progetto antistress e cultura antistress
A partire dai dati e dai risultati raggiunti negli studi, che chi scrive ha condotto e diretto in questi ultimi anni, è stato possibile cominciare ad intravedere un interessante progetto complessivo, in tutto un suo possibile percorso, per far andare ancora oltre le ricerche, raggiungere nuovi traguardi, allargare il campo delle possibili applicazioni di queste scoperte. Si sta così delineando e definendo sempre più un progetto antistress, nelle sue varie componenti e nelle sue varie fasi, come un obiettivo di larga portata, e non solo come semplice ricerca di un “rimedio” per lo stress (il che rappresenterebbe già un importantissimo risultato). Descrivendolo nelle sue grandi linee, il progetto prevede le seguenti fasi ed operazioni:
1) verifica delle modificazioni fisiologiche che si possono indurre nell’organismo attraverso ben determinati e precisi interventi di psicoterapia funzionale;
2) verifica della tesi secondo cui, sempre con le medesime metodologie di terapia funzionale, si possono raggiungere effettivamente condizioni profonde di benessere, stati diversi di funzionamento e di esistenza;
3) costruire un quadro complessivo che permetta di chiarire come si manifestano le condizioni di stress sui vari piani e livelli del continuum macro-micro, per arrivare alla capacità di leggere preventivamente segni incipienti di alterazioni che conducono allo stress;
4) mettere a punto una scala stress – benessere, che permetta misurazioni non più solo indirette (come è stato fatto sinora, attraverso unicamente gli effetti che lo stress porta sullo stato emotivo e sui pensieri), ma direttamente tramite elementi del posturale e del fisiologico (dal momento che questi si sono rivelati strettamente connessi alle condizioni di stress);
5) verificare le influenze che situazioni di stress (misurabili con questa scala) hanno sulla incidenza epidemiologica di malattie, quali, in special modo, quelle cardiocircolatorie; 6) studiare i risultati in decorsi post-infartuali trattati con interventi di terapia funzionale antistress;
7) studiare un programma di prevenzione allo stress, attraverso un lavoro con gruppi che beneficino di metodologie antistress, che le apprendano, e che imparino a diffonderle;
8) creare una cultura antistress allargata, attraverso metodologie e programmi per comunità, volti all’apprendimento e alla diffusione di tutti quegli elementi e quelle tecniche che facilitino la conoscenza e l’intervento sul fenomeno stress, realizzabili in vari ambiti: scuole, famiglie, palestre, ospedali, ecc.
L’importanza della respirazione
Tra i fattori di regolazione generale, uno dei primi a dover essere ulteriormente studiato, nel progetto antistress, per la sua importanza è senza dubbio quello della respirazione diaframmatica originaria profonda; un tipo di respirazione che le persone hanno, sin dall’inizio, in condizioni di non allarme, di serenità, di benessere, e che spesso perdono per effetto di alterazioni del fisiologico, e dell’intero quadro del Sé.
Le figure 6 e 7 illustrano alcuni significativi risultati delle ricerche che chi scrive ha condotto sulla reinstaurazione della respirazione diaframmatica originaria, in soggetti che l’avevano perduta, e sugli effetti che immediatamente si sono resi visibili. La figura 6 mostra come, quando sia stata reinstaurata questa respirazione durante una seduta di terapia funzionale, la frequenza del battito cardiaco scenda, sempre, e notevolmente. Le varie frecce rappresentano altrettante sedute, rappresentate per soggetti. In alcuni dei casi, la persona aveva un’accelerazione cardiaca all’inizio di seduta collegata ad uno stato febbrile. La cifra al centro tra parentesi rappresenta il numero delle sedute a cui è arrivato il paziente in quel momento. A tal proposito si può notare come gli effetti di un drastico abbassamento della frequenza cardiaca si producano non solo nel caso di persone con una lunga terapia alle spalle, ma anche dopo non molte sedute dall’inizio del trattamento. I primi due grafici della figura 7 illustrano, invece, le modificazioni che si producono nel corso di una singola seduta, insieme, di temperatura corporea periferica (in particolare delle mani), dello stato di sudorazione e del battito cardiaco. Il primo si riferisce ad una situazione “tipo”, abbastanza frequente ad inizio di terapia. Si noti come tutti e tre questi parametri, indicativi dello stato di equilibrio del sistema neurovegetativo, (simpatico-parasimpatico, o vago), si modifichino nel corso della seduta, ma in modo incongruente tra di loro. L’ipotesi è che si sia ingenerata, nella storia del soggetto, una di quelle condizioni di scissione di cui dicevamo, all’interno dell’area fisiologica, e in particolare all’interno dello stesso sistema neurovegetativo, per cui le tre funzioni non hanno più una coerenza tra di loro. Del resto non è raro imbattersi in persone che hanno le mani sempre sudate (pur non avvertendo paura o disagio), ma con il battito accelerato; oppure tachicardie, ma senza alterazioni di pressione o sudore; o sensi di svenimenti e strane instabilità delle altre due funzioni. Ma il secondo diagramma mostra come, al procedere della terapia, i tre indicatori finiscano per divenire congruenti, per effetto di una tipica riconnessione dell’approccio funzionale. Un altro elemento importante che se ne rileva, è che, alla fine di una seduta nella quale si raggiunga uno stato profondo di benessere (attraverso fondamentalmente le respirazione originaria diaframmatica), si ha sempre un abbassamento della frequenza cardiaca, una diminuzione della sudorazione, e un innalzamento della temperatura periferica. Ciò sembra dimostrare che attraverso la terapia funzionale e la respirazione diaframmatica si riesca, infine, sempre a realizzare modificazioni che da uno stato più o meno simpaticotonico vanno verso uno stato con prevalenza vagotonica. Questo effetto di allentamento verso la vagotonia è osservabile sia direttamente (tramite la lettura degli indicatori del sistema neurovegetativo), sia attraverso le sensazioni del soggetto, di immorbidimento, di tranquillità, di benessere, sia infine tramite le percezioni del terapeuta, che vede nel paziente letteralmente modificarsi e spianarsi i tratti de volto, fermarsi i movimenti di agitazione, allentarsi tensione e rigidità. Il terzo diagramma della figura, infine, mostra l’andamento nel tempo di un intero ciclo respiratorio, nel caso di respirazione diaframmatica profonda. Si noti la fase inspiratoria più lunga di quella espiratoria. poiché quest’ultima è soltanto un lasciare tutti i muscoli e permettere che l’aria esca da sola, senza sforzo, e senza. però neppure trattenerla. Importanti sono anche le durate della pausa dopo l’inspirazione, molto breve, e di quella dopo l’espirazione, molto più lunga. E stato possibile infatti verificare che nella prima si ha una crescita verso la simpaticotonia e che nella seconda si produce un abbassamento verso la vagotonia. Risulta dunque chiaro che se i tempi delle pause fossero invertiti (come accade in una respirazione toracica e trattenuta), si avrebbe una continua crescita della stimolazione simpatica. Ed infatti questo tipo di respirazione viene adottato naturalmente dalle persone, quando devono rispondere ad una situazione di stress acuto: sopportare il dolore, affrontare un pericolo, realizzare concentrazione e vigilanza e così via. Nasce da tutto ciò la consapevolezza della necessità di studiare, comprendere e modificare la respirazione come uno dei più importanti fattori di regolazione generale, e uno dei più importanti indicatori e fattori di regolazione in particolare del fenomeno stress.