Formazione Psicosociale e Psicoterapie” Convegno organizzato dalla SIPs e dal Centro Studi W. Reich – Napoli, 1984.
Il Centro Reich intende proporre un tentativo di ridefinire e riformulare ciò che viene definito formazione in vari campi, puntando sulla consapevolezza che essa dovunque ha certamente due aspetti: uno di ristrutturazione interna e uno di relazione con l’esterno.
RISPOLI. Nell’aprire i lavori del Convegno vorrei innazitutto sottolineare che questo, come gli altri che l’hanno preceduto, è solo la parte emergente, presentata pubblicamente, di una intensa e continuativa attività di ricerca e intervento che prosegue da molti anni, anche con la collaborazione di Enti e Istituzioni, non ultima la Provincia di Napoli, e in particola re l’Assessorato all’Ecologia e la Sanità. A questo proposito è doveroso riconoscere la sensibilità e la comprensione, nei confronti di temi e di attività non certo di facile risonanza nel mondo politico, mostrate dall’Assessore Franco lacono, che ringraziamo anche per lo sforzo di conversione e rifondazione che egli sta profondendo nelle Istituzioni Pubbliche. Il Convegno è dunque un nodo teorico a cui si è giunti e da cui è necessario ripartire nella ricerca, è un momento di con fronto con il mondo scientifico. Ma è anche un dibattere pubblicamente un tema di attualità e di interesse vivo, per le prospettive che si possono aprire, a quanti operano o si ricollegano al settore. Così è stato per gli ultimi Convegni realizzati dal Centro Studi W. Reich: “Il corpo e le psicoterapie”, Il corpo come sistema e rappresentazione”, “Pensiero logico e pensiero creativo”, E così mi auguro sarà per la formazione psicosociale e le psicoterapie” che nasce, tra le altre cose, dall’esigenza di rompere e mobilizzare abitudinarie separatezze tra due ambiti: l’intervento definito “psicologico” e quello più propriamente “sociologico”, per andare incontro anche alle crescenti esigenze continuamente proposte sia dagli utenti che dagli operatori (questi ultimi per quanto riguarda in particolare la formazione).
Il Centro Reich intende così proporre (certo solo a livello di ipotesi iniziali e come bozza di discussione) un tentativo di ridefinire e riformulare ciò che viene definito formazione in vari campi, puntando sulla consapevolezza che essa dovunque ha certamente due aspetti. Un aspetto di ristrutturazione interna, di risonanze emotive di dinamiche intrapsichiche. E una necessità di mettere in luce la relazione con l’esterno: ridefinire, cioè, il ruolo dell’operatore, metterlo in luce nell’ambito istituzionale in cui esso opera, chiarirlo all’utenza con cui entra in contatto; insomma dargli spessore e profondità sociale e istituzionale tenendo presente il retroterra culturale, umano, storico in cui ci si va a calare. E’ esperienza comune di quanti lavorano nell’ambito dei servizi, insegnanti, medici, infermieri, animatori culturali, aver notato che è sempre più forte, al di là dei compiti specifici che vengono richiesti agli operatori stessi, una domanda di tipo “psicologico” di accogliere e affrontare, cioè, anche se non risolvere, i problemi che investono gli utenti all’interno del le Istituzioni: Il disadattamento scolastico, il senso di emarginazione, le inadeguatezze ospedaliere, i disagi esistenziali varia mente articolati. D’altra parte sappiamo che la capacità di fornire risposte adegute a tale domanda non è fornita nei processi usuali di formazione, soprattutto di coloro che non sono specialisti del settore. Eppure la ricchezza delle esperienze e delle formulazioni teoriche oggi esistenti sia in campo più ecificamente psicoterapeutico sia soprattutto in campo psicosociale, potrebbe da re indicazioni, se non risolutive, comunque capaci di avviare a risoluzione progetti sociali su larga scala, di prevenzione e intervento, in relazione a questo tipo di esigenze, a questa sofferenza “psicologica”. Il perchè di questo Convegno nasce dal fatto che l’attività del Centro Reich è proprio nell’ambito della ricerca, nella formazione e nell’intervento (da quindici anni a questa parte) su tematiche psicosociali. Ad esempio come convertire l’esperienza di “vegetoterapia” di psicoterapia corporea, in processi di formazione psicosociale; come utilizzare in maniera adeguata le ricchezze del centro stesso nel settore, per esempio, della sperimentazione con l’infanzia, oppure del rapporto con le istituzioni, e anche del lavoro a livello territoriale.
Il tentativo è quello di andare oltre le soglie e i livelli usuali, penetrando nei problemi individuali e profondi, ma senza cadere in formulazioni di tipo personalistico, quale per esempio quelle tipiche del rapporto maestro-allievi, analista-paziente, non ripetibili certo a livello più ampio del sociale. Il tentativo è anche quello di andare oltre la genericità del dare “informazioni”, l’insufficienza nel fornire “ nozioni”. E’ necessario, peraltro, venire incontro a esigenze che oggi nell’utenza, come dicevamo prima, sono molto meno generiche per una più profonda e qualificata preparazione. E’ quanto andiamo vetrificando nel corso degli interventi che abbiamo realizzato negli ultimi anni: nelle Scuola Europea di Formazione in vegetoterapia carattero-analitica, nei corsi commissionati dall’IRSAF per insegnanti, nei seminari –laboratorio svolti nelle scuole, nella supervisione per gli operatori dell’Asilo sperimentale, negli interventi realizzati nelle strutture socio-sanitarie e in servizi territoriali. Ciò che abbaimo cercato di realizzare sempre più è di puntare soprattutto ad analizzare aspetti generalmente trascurati nella formazione usuale, quali i termini “caratteriali” dell’apprendimento, le modalità attraverso cui le relazioni si instaurano, gli itinerari coattivi e ripetitivi dei processi di addestramento, le risposte stereotipate che sono da ostacolo alle conoscenze reali.
Uno dei punti più significativi su cui ci approfondiamo è il “ senso di contatto” indispensabile nella relazione formativa poiché influenza le spinte fondamentali che operano sul processo in corso, come il senso di adesione, la partecipazione, i coinvolgimento e il substrato emotivo con le implicazioni affettive che questo substrato comporta. Abbiamo potuto verificare che agendo su questi aspetti era possibile influenzare in qualche modo i processi formativi in atto accorciando tempi di maturazione e di comprensione, e soprattutto accorciando tempi di risposta autonome originali e creative. Ma si è dimostrato che è possibile anche agire sulla loro “intensità”, aumentando i livelli di consapevolezza relativi a stati profondi di partecipazione emotiva. Da queste considerazioni allora è possibile dare un significato non banale all’affermazione secondo cui “la formazione non deve essere un apprendimento di tecniche”.
Ciò viene a significare che la formazione è fondamentalmente inerente agli stati più o meno profondi del Sé, alla forma complessa della struttura della personalità, ed è una relazione che non può mai essere del tutto “mediata” da strumenti e canali di comunicazione artificiali.
Il problema che allora si pone, centrale nel nostro modello teorico, è quello della “mobilizzazione”. Mobilità caratteriale, ad esempio, vuol dire non staticità dei modi di porsi, vuol dire amplificare le capacità percettive, creare accessi alle emozioni profonde per ritrovare strade nuove da seguire e da inventarsi. Ma con questo termine intendiamo anche una mobilizzazione di tipo sociale, che vuol dire sapersi muovere all’interno delle strutture in cui si opera, tener presente che si lavora sempre in relazione a problemi reali e concreti, a volte espressi direttamente, a volte inespressi o non espressi chiaramente , che formano il cosiddetto inconscio istituzionale, da leggere e interpretare. Se la relazione affettiva è il punto centrale del nostro tipo di formazione, sappiamo che non è possibile non dare4 agli operatori strumenti di lettura e di intervento operativi e concreti.
A nostro parere è necessario che questi strumenti siano integrati, cioè che abbiano la caratteristica di essere innanzitutto flessibili e secondariamente adattabili ad un’ampia gamma di realtà e situazioni mutevoli. Noi riteniamo che questo sia possibile solo se si prendono in considerazione tutti quanti i livelli sui quali intervengono interazioni, cambiamenti, flussi di comunicazione. In tal senso il piano emotivo-affettivo risulta di estrema importanza; ma non è da meno il piano definito posturale-corporeo, da intendersi non soltanto a livello di organismo individuale, ma anche come un insieme di percorsi, di blocchi e di interazioni “nell’organismo gruppo”. Il piano fisiologico di funzionamento dei sottosistemi corporei risulta anch’esso pienamente implicato nella relazione, con processi, secondo il nostro modello teorico, visibili e modificabili; e con effetti significativi su tutti glia altri piani del “Sé corporeo”. In esso si distingue ancora il paino simbolico, che permette di collegare vissuti separati ed effettuare riappropiazioni ed elaborazioni di parti scisse. Riteniamo importante lavorare su tutti questi livelli ( qui esposti in una sintesi per forza di cose coincise) perché nel nostro tipo di cultura e di società sono intervenute tra di esse scissioni più o meno profonde, separatezze più o meno antiche. I due poli della scissione sono ancora in collegamento soltanto a livello molto profondo, per cui non è possibile agire separatamente sull’uno o sull’altro degli aspetti ed attendersi cambiamenti profondi e stabili anche sugli altri piani. Un insegnante, ad esempio, può acquisire a livello cognitivo un atteggiamento disponibile e aperto verso gli allievi, e nello stesso tempo conservare attraverso la postura e il linguaggio del corpo un messaggio “oppositivo” e di superiorità, che alla fine ritornerà a permeare anche il suo modo di vedere e concepire l’insegnamento. Esempi come questo ci possono far capire come la comunicazione può diventare ambivalente, perché concretamente costituita da messaggi contraddittori. Si possono presentare anche frammentazioni in uno stesso piano funzionale. Ad esempio il simbolico può scindersi in espressivo e rappresentativo. Il livello espressivo e rappresentativo del Sé non essendo più in contatto tra di loro, rendono incongrue tra loro l’ immagine che si ha di sé e quella che si comunica all’esterno. Ma se il moto espressivo non rispecchia più quello rappresentativo, allora è probabile che sia difficile una reale progettualità per modificare se stessi o l’ambiente che ci circonda. E laddove non è possibile progettare certamente c’è immobilità. Questo discorso ancora una volta non è valido soltanto per le persone, ma anche per i gruppi, le organizzazioni, le istituzioni. Un ulteriore interessante esempio può essere costituito dalla scissione dei piano emotivo in appercezione e percezione, con quegli effetti così frequenti e drammatici dell’isolamento e del distacco, del non riuscire più a “sentire” gli altri, della difficoltà ad entrare in contatto nelle relazioni. Perciò noi, diciamo che è necessario ricreare connessioni interrotte, muoversi su “piani integrati”, come li definiamo nel modello vegetoterapico del Sé corporeo. . Nei campo della formazione integrazione è, ad esempio, connettere relazione sociale e relazione intrapsichica all’interno del Sé; ma anche creare una continua interrelazione tra i che cosa: comunicazione verbale, linguaggi corporei, tessuto emotivo e piano cognitivo. Perciò riteniamo che realizzare questa integrazione sia uno dei punti fondamentali per realizzare processi formativi che rispecchino la complessità e l’ampiezza della dimensione umana. E oggi comincia a diventare tecnicamente possibile procedere ad una analisi efficace dei fattori che intervengono ai vari livelli del processo utilizzando questo modello come supporto operativo reale nella formazione, favorendo un processo di mobilizzazione da una parte, di chiarificazione dall’altra, e soprattutto ricostituendo il piano unitario dell’umano. Apriamo la sezione interventi, presentando le personalità e le istituzioni presenti per portare le loro testimonianze e il loro contributo a livello di ricerca, di attività svolte e anche e soprattutto a livello di progettualità. Interverranno il Magnifico Rettore dell’Università di Napoli, prof. Ciliberto. L’Università può è deve infatti svolgere un ruolo di primo piano nel creare iniziative e dare spunto a momenti di ricerca che coinvolgano esperienze, risorse, potenzialità anche al suo esterno. I dipartimenti, in tal , senso sono propri i momenti in cui le intersezioni tra struttura accademica e struttura sociale deve trovare terreno fertile petr poter produrre frutti significativi per la città e per la cultura nazionale. Prenderà poi la parola il presidente della Società Italiana di Psicologia scientifica, dott. Pino Fumai. La SIPs ha in questi anni svolto un’intensa azione per il riconoscimento del ruolo professionale dello psicologo, sia a livello di immagine sia come contenuto scientifico, sia ancora sul paino strettamente giuridico, per una legge che non riesce da 15 anni a trovare l’iter approvativo del Parlamento. La SIPs, unica associazione nazionale degli psicologi, ha anche il merito di aver intessuto dialoghi,confronti, con strutture, ruoli e professionali “contigui”, cion i quali non ha alcun senso strutturare contrapposizioni corporative. E molti di questi meriti vanno al presidente Fumai.
Nella terza parte del pomeriggio avremo le relazioni della prof. Angelica Mucchi Faina, psicologa dell’istituto di sociologia dell’università di Perugina, il prof. Bontadini, docente di Teoria delle organizzazioni dell’univesità di Bologna e il dott. Pierfrancesco Galli, direttore della prestigiosa rivista “Psicoterapia e Scienze Umane”.
RISPOLI : Nel chiudere questa prima giornata di lavori vorrei riprendere alcuni punti particolarmente significativi. Uno mi è sembrato quello della formazione da calare all’interno stesso della ricerca, come formazione psicosociale, in cui si utilizzi la ricchezza delle esperienze nei vari settori. Ma l’influire del ricercatore sullo stesso processo di ricerca apre la necessità di approfondire questo punto,nel senso di analizzare attraverso quali canali e su quali piani avviene tale interazione tra Istituzioni, Ricercatori e Formazione. Di estremo interesse mi è sembrata la possibilità di “leggere” l’organizzazione come una struttura sistemica, a più funzioni, proprio come un organismo. In tal senso lo psicologo non è chiamato soltanto a migliorare le qualità dell’ esistenza dell’individuo all’interno della struttura, ma anche a migliorare l’istituzione nella sua globalità sulle varie procedure di relazione e di potere, in una visione di “reti” , e realizzando una analisi dei flussi di comunicazione. Ma anche nell’ambito di questi flussi esistono livelli differenti dalla semplice direzionalità del flusso, che non potrebbe da sola spiegare le profondità delle implicazioni emotive, le imprevedibili risonanze interne. Il problema dunque è complesso e a più livelli. Ma quello che ci sembra incoraggiante è l’emergere di uno sforzo di comprensione reciproca, una volontà di confronto tra cultura ed esperienze differenti che possono entrare in contatto e arricchirsi in modo pregnante in tutti i settori della vita sociale, scientifica e culturale; cosicché comprenderli, da differenti angolazioni, e imparare a indirizzarli in modo efficace è un’esigenza non tanto di efficientismo quanto di livello qualitativo esistenziale. Ancor più laddove la formazione coinvolga coloro che sono chiamati ad operare in contatto con i problemi e i bisogni dell’utenza o che saranno a loro volta formatori dal confronto emerge una possibilità e una necessità di modificare le ottiche, di amplificare i modi di vedere e di interagire, di trovare criteri di base per la formazione “psiocologica” che attraversino tutti i settori della formazione psicosociale, in cui le differenziazioni siano casomai sulle tecniche, sul sapere, ma non sull’attraversamento o sul cambiamento profondi, siano essi a livello di individui, di gruppi o d istituzioni.
CULTURA SOCIALE E SAPERE PSICOTERAPEUTICO (Marzo 1984)
TAVOLA ROTONDA
RISPOLI Prima di iniziare la tavola rotonda vorrei leggervi i dati forniti dal calcolatore circa i partecipanti al convegno e la loro suddivisione professionale. I dati si riferiscono alla giornata di ieri, un 30& di psicologi, un 105 di psichiatri, e poi ancora un 10% di assistenti sociali, operatori sociali, giornalisti, medici, responsabili aziendali, operai, ingegneri, funzionari, programmatori, e direzione del personale. Mi sembrava interessante dare questi dati anche perché li possiamo utilizzare come uno dei momenti elaborativi di questa discussione, non tanto finale quanto propositiva. Questi dati ci confortano nel fornirci concretamente il senso di una pluralità e di una multi-discplininarietà di questi due giorni di convegno.
Abbiamo assistito a una discussione che man mano vedeva ampliarsi il tema della relazione; da relazione diadica o triadica a relazione multidisciplinare grippale. Vorrei chiedere agli intervenuti di stasera se il percorso avvenuto in questi due giorni( dall’analisi di una relazione più o meno circoscritta a una relazione multipla) non possa essere letto in parallelo ad un cambiamento che sta avvenendo nella capacità di leggere e interpretare fenomeni cultuali e sociali, e nella capacità di intervenire e arricchire i processi formativi. Come se a una visione di ambivalenze, contrapposizioni e scissioni( cause di congelamento e di riduzione di mobilità) si potesse gradualmente sostituire una teoria della complessità che si fondi su popolarità e su ampiezze multiple, ma che non scada in confusione e “agglutinamento”.
Questa maggiore aderenza dei modelli teorici alla realtà, appunto complessa e a molteplici variabili, presuppone però un continuo e intenso collegamento con problemi e temi della psicologia sperimentale e in genere delle discipline che si occupano di indagare sui processi funzionali dell’individuo e del gruppo.
Se partiamo allora dal parallelismo tra i processi formativi( come generalizzazione e trasmissione di risultati sperimentali o di sapere accumulato nell’operatività) e modelli terapeutici, possiamo pensare ad un progetto di formazione per gli operatori psicosociali che consti di un nucleo centrale invariant, di parti periferiche intercambiabili. Laddove l’ ossatura centrale è volta alle trasformazioni di personalità, alla mobilizzazione interna, percettiva e motoria dell’operatore; mentre la formazione al contorno, flessibile ed adattabile, corrisponda SOPRATTUTTO AL SAPERE OPERARE E INTERVENIRE, SIA COME TECNICHE CHE COME SITUAZIONE DI CONTESTO. Le esperienze accumulate in campo clinico e sociale possono indubbiamente costituire un background sufficiente per intervenire in modo integrato nella formazione degli operatori.