Circolo della Stampa 13 Marzo, Napoli, 1996.
Luciano Rispoli, psicologo e psicoterapeuta, partecipa alla presentazione del libro di A. Bevilacqua “Lettera alla madre sulla felicità”.
– E’ un libro che va in modo molto intenso sulle emozioni; e non per i fatti, pur sconvolgenti, della persecuzione e del linciaggio morale e fisico subiti dall’autore, ma per quel che riguarda i vissuti, il sentire, i rapporti con le persone, e i grandi interrogativi della vita
I pensieri importanti
– Non scenderò nelle terribili vicende che hanno fatto dell’autore un tiro a bersaglio e che il libro descrive in un concatenamento e in un crescendo incalzanti, impressionanti. Quello che mi colpisce profondamente è questo viaggio colino di emozioni: al contempo nella cattiveria umana e nell’amore. Il libro è allora emblematico delle vicende umane; ad esempio dell’importanza di poter vedere, anzi di poter tornare a vedere.
E non a caso, dice Bevilacqua, “l’occhio è il nostro organo dio”, (organo che sarà gravemente minacciato nella sua integrità al culmine di queste terribili vicende); e quello che colpisce nel volto della schiava turca (la figurina dipinta dal Parmigianino che la madre ha affidato a Bevilacqua come testimonianza della filosofia della felicità) è proprio il sorriso degli occhi; e sono sempre gli occhi che possono rimanere offesi (come si diceva una volta), feriti; specie in un bambino che è costretto a vedere brutture umane senza la protezione della pietà e della compassione, o che arriva a vedere troppo, come la propria madre nell’amore carnale, nella sessualità. Anche sulla retina può permanere l’influenza di antichi imprinting, come nelle voci, nei movimenti negli odori e nelle sensazioni tattili.
Il libro è emblematico: tutti dovrebbero riuscire a vedere; magari passare anche nel buio e nel dolore, ma riuscire a trovare poi quella che io chiamo la capacità di contatto, la capacità di collegarsi agli altri, di entrare dentro le cose e le persone. Non sono però convinto che questa capacità appartenga ad un universo lontano, al di là, nel mistero, fuori della vita quotidiana o dalle consuetudini (a meno che le consuetudini non siano rigidità, aride ripetizioni, incapacità di sentire e vedere in modo completo e profondo).
– Forse questo contatto è vicino a noi, questo entrare negli altri, questo saper cogliere le vibrazioni che permeano i luoghi, le persone, gli incontri, questo dare spessore alle atmosfere è qualcosa di molto più vicino di quanto pensiamo, ma non è certo una potenzialità che nasce solo dal pensiero, dalla razionalità; non è un fatto solo cerebrale, coinvolge tutta la persona, dipende dalle percezioni che ci arrivano, dal tatto, dagli odori, dalle sensazioni interne, da quello che riusciamo a vedere (non il solo guardare); dipende da come ci muoviamo con il nostro corpo, da come respiriamo; dipende da come colleghiamo tutto questo alle emozioni e ai ricordi in un insieme profondo, vitale e vibrante.
-Ed è proprio di questo che il libro ci parla, questo è il suo fascino, il modo in cui ci tocca (pag 290)
– Vi sono due modi in cui la sofferenza può agire: in uno spegne, ottunde, chiude le capacità di sentire, fa arroccare; nell’altro invece riesce ad aprire, amplifica le sensazioni, collega tra di loro le nostre differenti funzioni, crea dei ponti, apre visioni e sensibilità.
– Le condizioni estreme, come quelle a cui è stato sottoposto Bevilacqua, possono dunque anche arrivare ad aprire la tristezza, la malinconia, la nostalgia che non sono disperazione ed angoscia, perché la tristezza è sempre anche tenerezza verso di sé e la nostalgia non è un inutile rimpianto, ma l’accorgersi di quanto importanti sono le cose della nostra vita, anche le piccole cose, e come sono piacevoli; saper apprezzare ciò che si ha non ha niente a che vedere con l’accontentarsi, con la rassegnazione, e troppo spesso è stata fatta confusione tra questi due livelli, enormemente differenti, e con questa confusione ci si è fatto e si è fatto un gran male.
– E veniamo alla felicità.
“L’anima può e deve conservare la sua allegria”,
“il sentimento del sorriso è il solo antidoto possibile alle sofferenze”; questo ha trasmesso la madre ad Alberto Bevilacqua, in uno straordinario intenso rapporto; un filo di certezza nella sua vita in genere, e in particolare durante le incredibili vicende del linciaggio; (pag 22 pag 29)
Il corporeo trasforma l’emotivo: grande saggezza della madre di Bevilacqua; “Ritrova il sorriso del corpo”, diceva la madre; esattamente il titolo di un libro che avevo pensato di scrivere qualche tempo fa! I casi strani della vita: parlare oggi proprio del “sorriso del corpo”, e anche del rapporto con la madre quando il mio filo di contatto con mia madre si sta pericolosamente assottigliando.
– Il libro è anche una importante denuncia: sul delirio in agguato, sulle distorsioni dell’amore, sul rischio che corriamo tutti di precipitare da un momento all’altro; una denuncia civile di una società “malata”, una denuncia sul male che può invadere la persona e trascinarla nella più terribile cattiveria, il rischio di ritrovarsi soli.
– Ritorna il motivo importante di prima, ma in negativo: la mancanza di contatto, che significa mancanza di fiducia anche, e incapacità ad affidarsi ed abbandonarsi; eppure nella gente c’è un grande desiderio di abbandonarsi e di contatto, anzi ce n’è un grande bisogno. Ma se poi ci si affida si pretende troppo, si va nei desideri più alterati, da vite intere di frustrazioni e sofferenze; e se per una ennesima volta arriva la delusione si apre un mare di rabbia, odio, rancore. Odio soprattutto contro chi più riapre polverose e pesanti porte in noi, di chi comincia a rimettere in funzione canali profondissimi che le acque finalmente inondano nuovamente. D’altra parte con questi canali si riaprono anche una grande sete, antichissimi bisogni di possesso” che si confondono con la realtà attuale, una enorme voglia di essere amati e nel contempo l’incapacità a ricevere serenamente. E’ così che ci si può facilmente sentire “derubati” di qualcosa (se ci si affida, se si sente l’altro entrare in noi); dal bisogno di possesso si può allora scivolare nel “sentirsi usati”, perché si ritorna ad antiche ferite. E a questo è maggiormente esposto chi muove gli animi umani nel profondo, sentimenti antichi, desideri frustrati di amore; e ogni piccolo motivo di delusione, ogni sensazione di lontananza (che può apparire incolmabile), la percezione di un contatto troppo fugace possono far insorgere rabbie fortissime, rancore, odio, violenza, vendetta.
– Il mestiere dello psicoterapeuta e quello dello scrittore sono forse più vicini di quanto non si creda, e molto delicati; e le risonanze che si aprono sono davvero di una intensità inimmaginabile; solo che lo scrittore è personaggio più pubblico, e racconta, e tocca, senza poterle poi sciogliere, profondità oscure.
– Le profondità oscure, le profondità morbose e turbanti del nostro sé, in realtà dovrebbero poter entrare nella nostra vita alla luce del sole, e anzi divenire un aspetto ludico della nostra esistenza; dovrebbero diventare capacità di farsi trascinare, di esprimere e vivere desideri, di giocare con i sensi più intensi, con le fantasie più svariate; senza relegarle in un mondo nascosto e imprigionato, in bubboni che rischiano di trasformarsi in serbatoi di pus che poi esplodono in modo troppo violento seminando il male. Nel mondo del libro, di queste profondità morbose fanno spesso parte le donne; figure di donne completamente in balia della sessualità; come Mirta, che perde del tutto il controllo e si dà supinamente al maschio padrone e violento. Figure di donne che turbano, che inquietano; che richiamano gelosia, possessi, masochismi, usi egoistici dell’altro. E in effetti sono proprio le donne che accusano e che danno inizio alla persecuzione e al linciaggio dell’autore. Figure femminili che hanno perso umanità, che hanno assorbito violenza e aridità, che rischiano di farci dimenticare la realtà di sofferenze e di sopraffazioni da sempre subite dalle donne, sofferenze, ferite e dolori che, certo, possono stravolgere il senso dell’amore. Amore che invece dovrebbe essere al contempo senso di potenza e serenità, travolgente e rassicurante; quello che definisco la forza calma dell’amore: fatta di contatto, di fiducia, di presenza. D’altro canto ai turbamenti e alle morbosità molto antiche, che intorbidano i rapporti con l’altro sesso, si aggiungono immagini altrettanto antiche e altrettanto inquietanti (come, nel libro, quelle dell’uccisione in massa dei maiali nella coràda) che possono minare la continuità del tessuto profondo del Sé dei bambini, creando profondità ancora più oscure. Lanciate le prime “pietre”, al coro delle vendette, delle false accuse, delle violenze si uniscono poi tutti quelli che hanno un animo troppo tormentato per discernere la verità, che hanno un sé corroso, un livello di vuoto che va riempito di false pienezze: il potere, il potere sull’altro, il potere sulla vita dell’altro.
– Nascono così linciaggio e calunnia, (che ancora una volta non sono altro che desideri enormemente distorti), quando non si riesce minimamente a sopportare il confronto: con chi è più bravo, con chi coglie verità, con chi va al cuore della gente, affronta, si espone, produce. Non si riesce a vedere l’altro come sprone, come maestro, come esempio; non si riesce a coltivare il desiderio di mostrare (come fanno i bambini così dolcemente) quello che si è capaci di fare, nonostante ci sia un grande desiderio di essere visti, una sete che ci si porta da piccoli, un bisogno troppo spesso lasciato insoddisfatto. Non si riesce a coltivare il desiderio di uguagliare, di superare il maestro in una gara giocosa ed affettuosa; far sì che l’altro (nostra madre, il genitore) possa essere fiero di noi, portandoci dentro e valorizzando ciò che ci ha trasmesso di positivo; e poi andando anche oltre, per non essere identici, per portare più avanti il testimone della vita, quello che abbiamo ricevuto. Può accadere che, quando gli equilibri del sé sono troppo compromessi, tutto ciò possa tramutarsi esattamente nell’opposto: la calunnia, il tradimento; che sono la spinta a distruggere la fonte che ci ha dato qualcosa, che ci ha mosso nel profondo.
– Ecco perché queste sono vicende che ci riguardano tutti, in un libro difficile, coraggioso, dove un senso di solarità” cerca di sopravvivere in un fiume di emozioni dolorose, di abissi, di ferite; una denuncia contro una violenza strisciante che si insinua quando si è bambini, ragazzi; e che suscita il desiderio di continuare, di portare avanti ciò che ha fatto Bevilacqua, di scrivere, di aprire canali, di raccontare il “sorriso del corpo”.
– Che è poi anche il modo migliore di poterci separare dalle figure care della nostra vita, di valorizzare ciò che abbiamo ricevuto da loro. Al di là delle poesie che Bevilacqua ha già dedicato alla propria madre, infatti, è l’intero libro ad essere in realtà la più bella poesia che si possa scrivere a una madre: trasmettere la sua filosofia di vita, e cioè la possibilità di coltivare il sorriso e la felicità interiori; un messaggio da non perdere inni, un messaggio positivo per tutti, al di là delle più terribili amarezze.